I dieci del gruppo di Shanghai. L'"Eurasia senza Occidente" vale un quarto del Pil mondiale

Contano il 41% della popolazione globale. La sfida per acquisire altre aree di influenza

I dieci del gruppo di Shanghai. L'"Eurasia senza Occidente" vale un quarto del Pil mondiale
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Il 14 giugno 2001, giorno in un cui nacque l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, il mondo era molto diverso da quello attuale. Non era ancora avvenuto l'attentato alle torri gemelle di New York, la Cina non era entrata nell'Organizzazione mondiale del Commercio, la grande crisi economica del 2008 era lontana da venire e l'Occidente prosperava. L'attentato al World Trade Center avrebbe cambiato tutto con le successive guerre in Afghanistan e Iraq e la consapevolezza, maturata in ritardo, che "esportare la democrazia" in tutto il mondo non era possibile. Così, nel giro di venticinque anni, complici una serie di errori economici, militari e geopolitici, gli Stati Uniti e l'Occidente si sono trovati dall'essere il modello di governo per eccellenza a diventare un modello vedendo erodere la propria sfera di influenza e passando da un mondo unipolare a uno multipolare. In parallelo alla nostra crisi si è sviluppato un sistema di potere alternativo di cui l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è uno dei suoi architravi.

In realtà il nucleo fondativo del Gruppo di Shanghai (o Gruppo dei Cinque) risale al 1996 con la firma del Trattato per il rafforzamento dell'appoggio militare nelle regioni di confine da parte dei capi di Stato di Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Tagikistan e Russia. Ma è nel 2001, con l'ingresso dell'Uzbekistan, che il gruppo assunse l'attuale assetto di cooperazione militare, economica e culturale. Ai sei stati fondatori nel tempo si sono aggiunti altri membri, nel 2017 India e Pakistan, nel 2023 Iran e, dallo scorso anno, la Bielorussia. Per comprendere il peso geopolitico dell'organizzazione è necessario aggiungere che, oltre ai paesi membri, ci sono altre quattordici nazioni considerate "partner di dialogo" tra cui: Azerbaigian, Arabia Saudita, Armenia, Bahrain, Birmania, Cambogia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Maldive, Nepal, Qatar, Sri Lanka, Turchia. Se tra i paesi osservatori figurano Afghanistan e Mongolia, quest'anno sono ospiti del summit Indonesia, Laos, Malesia, Vietnam.

I dieci stati membri a pieno titolo costituiscono il 41% della popolazione mondiale e rappresentano il 23,5% del Pil globale. Cifre che testimoniano la volontà di dar vita a un ordine mondiale alternativo a quello occidentale come spiegano i dossier sul tavolo dei leader a cominciare da Putin e Xi Jinping che sognano la creazione di un'Eurasia senza Occidente grazie al partenariato economico ed energetico tra Russia e Cina cresciuto in modo esponenziale dopo l'inizio della guerra in Ucraina. L'energia è infatti uno degli argomenti cardine del meeting con il nuovo metanodotto transfrontaliero, il più grande al mondo, che collega la Siberia a Shanghai. Ma i terreni di cooperazione riguardano anche l'ambito politico con la volontà di "una riforma del Consiglio di sicurezza dell'Onu includendo Stati di Asia, Africa e America Latina". Dietro a una forte retorica anti coloniale c'è infatti la volontà di erodere ulteriori aree di influenza dell'Occidente sostituendole con i paesi partner dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Da qui l'utilizzo dell'espressione "maggioranza globale" per indicare l'insieme dei paesi non occidentali.

Se è indubbia la crescita di questo nuovo sistema di potere, non bisogna però dimenticare le differenze e le divisioni tra i paesi che ne fanno parte a cominciare dal timore che suscita la Cina nell'Asia centrale e nel sud est asiatico, un fattore da tenere in considerazione ma che non può costruire un alibi per un Occidente che deve risvegliarsi dal torpore in cui è caduto da anni.

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