Politica

I giorni del paradosso

In una situazione a dir poco complicata la maggioranza che ha vinto le elezioni invece di unirsi si divide

I giorni del paradosso

Per alcuni versi quel che è accaduto è inspiegabile. In un Paese alle prese con la recessione economica, impegnato sia pure indirettamente in una guerra, dove appaiono sui muri dopo trent’anni i simboli lugubri delle B.R., ebbene, in una situazione a dir poco complicata, la maggioranza che ha vinto le elezioni invece di unirsi si divide. E il tema del governo che dovrebbe essere il collante si trasforma addirittura in un fattore di diaspora. Questo probabilmente è il paradosso più grande, per alcuni versi stravagante e inedito, nella legislatura che si apre perché mette in discussione addirittura le leggi di gravità che dovrebbero regolare la politica. Ma nei giorni del paradosso, in realtà, nulla ha una «ratio», o , meglio, la «ratio» a volte è capovolta, a volte non c’è proprio. Ad esempio, Forza Italia che a detta di tutti dovrebbe essere il passaporto, l’elemento di garanzia in Europa di questa maggioranza, per la premier in pectore è diventata un problema. Gira che ti rigira, a dispetto dei numeri e della funzione, la Meloni gli assegna un ruolo marginale nelle trattative per il suo governo: al di là delle personalizzazioni, spesso di comodo, e della narrazione romanzata, il nodo politico è questo. Eppure sulla carta Forza Italia avrebbe dovuto essere l’alleato privilegiato, non solo in quanto fa parte del Ppe, cioè del gruppo più grande nel Parlamento di Strasburgo, quello che influenza di più le scelte di Bruxelles, ma perché su molte questioni il partito di Berlusconi abbraccia naturalmente il concetto di «responsabilità» con cui Giorgia Meloni ha inaugurato il suo lessico di governo. Non si tratta solo di parole o di una retorica di comodo, basta guardare i fatti: sulla crisi energetica, sulle bollette, cioè il primo dei problemi del futuro esecutivo, sia la Premier «in pectore», sia il Cav hanno escluso uno scostamento di bilancio viste le dimensioni del debito pubblico italiano. L’altro leader della maggioranza, Salvini, lo predica invece da settimane. Come pure sul «conflitto» ucraino il tasso di atlantismo di Forza Italia, per storia e cultura, è sicuramente più alto di quello di altri partner della maggioranza. In aggiunta è evidente che Salvini, per posizioni, per dati anagrafici, perché FdI e la Lega investono sullo stesso segmento elettorale, è il vero competitor della Meloni. Eppure la probabile premier ha valorizzato più la Lega che gli azzurri nelle scelte per il governo e per le presidenze delle Camere. Gli ha garantito un peso sicuramente superiore a quel mezzo punto percentuale che divide il risultato elettorale del Carroccio da quello di Forza Italia. Una linea paradossale. Ma i paradossi non finiscono qui. Nell’elezione a presidente del Senato Ignazio La Russa ha usufruito dell’aiuto di Matteo Renzi, l’«ammazza governi». Ora è evidente che la sortita del terzo Polo punta a dividere la maggioranza: Calenda e Renzi hanno un disegno lucido - e per di più esplicito - staccare gli azzurri dalla maggioranza del prossimo governo per rilanciare uno schema simil-Draghi. In sintesi: la Meloni si è affidata nella partita di Palazzo Madama ai suoi più insidiosi avversari. L’ultimo paradosso è la «non curanza» verso il fattore aritmetico. Non ci vuole il pallottoliere per scoprire che gli azzurri sono determinanti sia alla Camera, sia al Senato. Anzi, la riduzione dei parlamentari senza che il Parlamento abbia adeguato la sua organizzazione ai nuovi numeri (specie Montecitorio) richiede una maggioranza che abbia margini non solo sufficienti ma ampi. In questa situazione mortificare un partito determinante, e i suoi parlamentari, è un comportamento che oltre un certo limite sfocia nel masochismo.

Se si parla di un premier e di un governo che vogliano durare.

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