I grillini non mollano la presa sulla Cdp

Nei sogni di Di Maio farne «una mega banca, anche se non è una banca»

I grillini non mollano la presa sulla Cdp

Ci risiamo. I grillini non mollano la presa sulla Cassa Depositi e Prestiti. Un po' bacchetta magica, un po' coperta di Linus. E nei sogni di Luigi Di Maio «una mega banca, anche se non è una banca» perché «da lì può nascere un soggetto che si chiama Banca pubblica degli investimenti», ha detto ieri il leader M5s, nel corso di un incontro pubblico in Molise. Indicando l'esempio di un «meccanismo» analogo adottato in Francia, Spagna e Germania. Un soggetto, ha continuato, «che comincia a fare gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, ma anche che fornisca alle imprese l'accesso al credito a un tasso moderato, per poter fare innovazione in azienda a nuove linee di produzione che consentano di svilupparsi».

Di Maio continua a dimenticare alcuni dettagli. La Cassa, oggi controllata dal Tesoro e partecipata dalle Fondazioni, può contare sui 250 miliardi del risparmio postale, dei quali 80 investiti e 170 a disposizione. Parliamo di oltre il 10% del Pil. Il punto - come ha già ricordato il Giornale lo scorso 29 marzo - è che quei 170 miliardi non sono del governo, bensì di 26 milioni di piccoli risparmiatori che comprano buoni e libretti postali. Insomma i risparmi dei piccoli depositanti di Poste (partecipata da Cdp senza governance). E per statuto la Cassa può investire le sue risorse solo in progetti profittevoli e comunque non per spese correnti. Ai vincoli statutari se ne aggiungono altri. Cdp dovrebbe cambiare la sua missione che le consente ad esempio di investire solo in settori strategici per l'economia nazionale (fissati per decreto dal Mef nel 2014) stando però attenta ad avere comportamenti di «mercato» affinché il suo bilancio continui a essere considerato al di fuori del perimetro del debito pubblico. Cdp non può dunque intervenire direttamente e in maggioranza in imprese in crisi altrimenti l'Antitrust Ue può chiamare l'infrazione per aiuti di Stato. Né può avere la maggioranza di una banca, altrimenti la Bce dovrebbe imporle le regole di capitalizzazione di Basilea.

Una banca, infatti, presta in funzione del patrimonio di cui dispone. Per tenere alta l'asticella Cdp potrebbe essere costretta a ridurre il sostegno ai settori produttivi nei quali investe oppure chiedere ai soci (Tesoro e fondazioni) di mettere mano al portafoglio. Gli stessi soci devono condividere la modifica dello Statuto che, fra l'altro, attribuisce agli enti la nomina del presidente della Cassa. Per avere una banca, quindi, Di Maio dovrebbe prima fare i conti con l'Europa e con un arzillo ottantaquattrenne: Giuseppe Guzzetti, patron dell'Acri.

Nel frattempo, arrivano le prime reazioni ai «desiderata» grillini: «Con l'intervento pubblico non si mandano indietro le lancette della storia delle liberalizzazioni delle banche», ha commentato il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli. Mentre dai sindacati arriva il placet della Uil. Più fredda la Cgil perché «il termine banca degli investimenti si presta ad una ambiguità.

Il sistema bancario ha di per sé delle regole che sono diverse da quelle di Cdp, che noi continuiamo a pensare debba essere la capacità dello Stato ad intervenire a salvaguardia di settori strategici del Paese», ha detto il leader Cgil, Susanna Camusso.

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