Guerra in Ucraina

Tra i guerrieri ceceni armati fino ai denti che assediano Lugansk

Meglio addestrati e armati dei loro "colleghi". "Un piccolo popolo di grandi combattenti"

Tra i guerrieri ceceni armati fino ai denti che assediano Lugansk

Rubisnaya. Il comandante Umar e i suoi ci aspettano nella piazza diroccata di Rubisnaya. Trovarli non è difficile. Anche in questa distesa di rovine, epicentro dell'offensiva russa per la conquista di Severodonetsk, la loro presenza è inconfondibile. E non solo per i barboni vermigli o color pece appoggiati come bavagli sui giubbotti antiproiettile. A renderli assolutamente peculiari contribuiscono armi, divise e mezzi. Mentre gli indipendentisti di Lugansk e tante unità di Mosca devono accontentarsi dei vecchi Bpm, già vetusti negli anni dell'Afghanistan, Umar e i suoi si muovono sui nuovissimi Tigr, i blindati per il trasporto truppe simili, come progetto e sagoma, ai Lince italiani dell'Iveco. Anche divise e armi trasmettono l'idea di uno status militare privilegiato rispetto a quello dei fanti di Mosca o delle milizie di Donetsk o Lugansk.

«Siamo un piccolo popolo, ma combattiamo bene e quindi abbiamo armi e mezzi alla nostra altezza», spiega senza troppa modestia Umar, l'ufficiale incaricato di prenderci in carico senza però rivelare grado e nome. Spediti in Ucraina dal leader Ramzan Kadirov nel nome di un rapporto preferenziale con Vladimir Putin ed esibiti dal Cremlino come icona dei rapporti intrattenuti con le minoranze linguistiche e religiose, le unità cecene sono ormai una presenza consueta sui fronti ucraini. La loro determinata e complessiva efficienza sembra ora apprezzata anche dai comandi russi che, vinta un'iniziale reticenza, stanno affidando loro settori sempre più importanti. «Qui combattiamo sul versante Nord Est del fronte e teniamo molte posizioni da Rubisnaya fino al villaggio di Kamishevaka, quest'ultimo rappresenta la nostra prima linea più importante» racconta l'ufficiale esibendo sul telefonino le immagini di un drone. «Abbiamo preso un pezzo di villaggio, ma - aggiunge - subiamo ancora i colpi dei missili Grad nascosti dietro al centro abitato». In effetti i filmati del drone individuano con chiarezza i lanciamissili nascosti dagli alberi tra le propaggini del villaggio opposte a quelle dove Umar e i suoi hanno fatto breccia. Kamishevaka resta però inaccessibile. «Subiamo troppe perdite, non posso portarvi là dentro... Andiamo in un villaggio a lato di Kamishevaka abbandonato dagli ucraini la scorsa notte».

Sul terreno Umar e i suoi «barbuti» si muovono con lo stesso spavaldo protagonismo esibito nella scelta di armi e mezzi. L'unità, formatasi nella lotta alle cellule cecene di Isis e Al Qaida, è specializzata in tecniche di combattimento urbano e antiterrorismo. E nonostante barboni e fede li rendano simili ai militanti con cui si misurano, Umar e i suoi uomini sono orgogliosi di esibire metodologie simili a quelle occidentali. Metodologie già applicate a Mariupol dove i ceceni rastrellavano i quartieri appena presi e spegnevano le ultime sacche resistenza. Qui va alla stessa maniera. Appena scesi dai mezzi gli uomini fanno cornice per bloccare eventuali nemici in fuga dalle rovine mentre i cecchini iniziano a tener d'occhio eventuali movimenti sospetti all'interno del villaggio. Mentre Umar impartisce ordini via radio le squadre entrano nelle case diroccate dai colpi, cercano eventuali trappole esplosive e se ne escono consegnando documenti e passaporti abbandonati da una popolazione fuggita almeno una settimana fa. Lo testimoniano i resti di cibo ormai completamente avariato e il silenzio surreale rotto solo dalle deflagrazioni dei missili Grad ucraini e dell'artiglieria russa impegnati nel consueto duello a distanza.

Poi, a un tratto, la perlustrazione si blocca e Umar convoglia due squadre verso una postazione sul lato del villaggio. Mentre i cecchini stanno ancora prendendo posizione una delle due squadre decide di far irruzione lanciando un paio di bombe a mano e aprendo il fuoco con i kalashnikov. Umar, preso pure lui di sorpresa, ci butta indietro spingendoci verso le rovine di una casa. Bastano una manciata di secondi e una comunicazione radio per capire che era solo un falso allarme. Un'ora dopo il villaggio è completamente «ripulito» e la squadra pronta a riguadagnare i propri Tigr. Ma prima un grido gutturale e fragoroso invade la pianura coprendo per un'istante il sottofondo di spari ed esplosioni.

E un «Allah Akbar» urlato al cielo diffonde nella verde e cristiana ucraina gli echi delle ormai non troppo lontane guerre mediorientali.

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