I ministri leghisti pronti a disertare in blocco il Cdm

Muro contro le dimissioni del sottosegretario. L'attesa per il colloquio con i magistrati

Matteo Salvini e Armando Siri
Matteo Salvini e Armando Siri

Roma - Salvini non abbandona gli uomini «con cui ho fatto un pezzo di strada» e, come ribadisce da giorni, non può concepire le dimissioni di Siri senza almeno un rinvio a giudizio. «Non c'è in ballo una persona, non ho uomini o poteri da difendere però ci tengo alle regole della democrazia. Si è colpevoli se si viene giudicati colpevoli. Si deve avere il diritto di dimostrarsi estranei senza essere linciati sulla piazza».

Così, al di là dei proclami e delle rassicurazioni incrociate, quello che può accadere al Cdm di metà della prossima settimana - mercoledì mattina o giovedì - rischia di sfuggire di mano agli apprendisti stregoni del governo. Il muro innalzato dalla Lega, che preoccupa molto Di Maio, sembra potersi fondare sui saldi presupposti delle regole di garanzia, considerato che il sottosegretario non è neppure ancora stato ascoltato dai magistrati. Il suo avvocato l'ha chiesto fin dal primo momento, sia per chiarire la posizione del proprio assistito, sia per poter valutare le carte dei Pm. Che elementi hanno in mano gli inquirenti della Dda? Non molto, sembra, oltre la famosa intercettazione nella quale si ascolterebbe l'imprenditore e consulente leghista Paolo Arata dire al figlio: «Ci è costato 30mila euro». Eppure dai controlli incrociati sui conti bancari non pare essere emersa alcuna prova concreta di trasferimenti di danaro.

Ecco perché, anche dal punto di vista politico, la posizione di Siri non è del tutto compromessa, secondo il Carroccio. Quanto ha detto il premier Conte a proposito della trasparenza e dell'etica di chi governa, secondo i leghisti, non può prescindere da un presupposto fondamentale, sancito dalla Costituzione: la presunzione d'innocenza. È da rigettare è anche la lunga spiegazione di Conte, secondo il quale quell'emendamento proposto da Siri fosse ad personam. Chiarito ciò, resta difficile anche se non impossibile che i Pm convochino Siri entro mercoledì, così togliendo le castagne dal fuoco al governo. In quel caso, come più volte anticipato, il sottosegretario farebbe il passo indietro.

La seconda possibilità sul tavolo è quella della «conta» al Cdm tra gli otto ministri grillini (più Conte) e i sei leghisti, che tra l'altro non sarebbe vincolante per l'emissione di un decreto di revoca della nomina di Siri. Conte l'ha esclusa e Di Maio ha già detto che anche in quel caso, pur non comprendendo perché la Lega farebbe un gesto «così «inutile», non aprirebbe la crisi. Vorrebbe che a farlo fossero i leghisti, semmai. Ultima delle ipotesi possibili, allora, il gesto clamoroso della diserzione in massa dei ministri leghisti dal Cdm. Le conseguenze politiche del gesto sono per ora incerte.

Ne potrebbe scaturire uno scenario di crisi o anche, con entrambi gli alleati soddisfatti dall'aver reso pubbliche le proprie differenze, la volontà di chiudere la vicenda. Con la poco credibile convinzione, da parte dei gialli e dei verdi, di avere almeno salvato la faccia.

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