
"È notorio che io sia un faccendiere, un affarista, un equivoco personaggio, un agente Cia ed altre amenità. Ma è anche notorio che non sono un fesso". Se non fosse un po' lunga, sarebbe questa l'iscrizione ideale per la tomba di Francesco Pazienza, morto ieri nell'ospedale di Sarzana. Colpisce, nell'autoritratto di Pazienza, la data: 1983, quando la sua carriera nei misteri della Repubblica era ancora agli esordi, e i passaggi più oscuri erano ancora di là da venire. Andò a finire che non ci fu mistero italiano che non lo vedesse di mezzo, dalla P2 all'attentato al Papa e al suicidio di Roberto Calvi, dal sequestro Cirillo al conto Protezione, da Mani Pulite a Ilaria Alpi, fino all'immancabile Telekom Serbia e al sequestro Abu Omar, e poi dossieraggi, depistaggi, Supersismi veri o presunti, in un viluppo di storie dove veniva coinvolto suo malgrado o più spesso si coinvolgeva da sé, mandando messaggi, promettendo rivelazioni, incrociando manie di protagonismo, manovre e ricatti. Una lunga mano di poker con le istituzioni, un po' bluffando, un po' barando.
Era tornato libero nel 2007, ai servizi sociali a Lerici, dove viveva nella grande villa di famiglia, dopo avere scontato la condanna per il depistaggio più grave accumulato in carriera, le trame del Sismi per creare una falsa pista per la strage di Bologna del 1980: una brutta storia in cui era entrato a ruota del suo nume tutelare, il generale Santovito, capo del servizio segreto militare. È Santovito a portarlo nel Sismi, e i vecchi del "servizio" se lo ricordano ancora, giovane e sprezzante, che quando entra a Forte Braschi dice "mi sembra di entrare allo zoo". Cosa aveva visto il generale, in questo medico piccolotto e brillante? Pare che qualcosina Pazienza avesse fatto già per gli 007 francesi, che sfruttavano per le operazioni coperte la sua specialità in medicina subacquea. Ma a contare fu soprattutto la tessera comune della Loggia P2, unita a una disinvolta presenza di riflessi. Che gli permise di partecipare, insieme a diversi italiani di fama, al saccheggio delle casse del Banco Ambrosiano: costatagli però quattordici ani di galera, dopo l'arresto in America e l'estradizione in Italia. Che Pazienza cercò in ogni modo di evitare, "non voglio fare la fine di Sindona", ma alla fine venne imbarcato su un aereo per Roma. Erano saltati fuori gli elenchi della Loggia, e in Italia e al Sismi il vento era cambiato.
Da allora, tutto un continuo dentro e fuori dalle inchieste, nei meandri più tortuosi: come quando Alì Agca lo accusa di esserlo andato a trovare in carcere per fargli accusare i servizi dell'Est per l'agguato a Woityla. Una inchiesta doveva tirare le fila di tutto, quella sul "Supersismi", l'organismo deviato che lui e Santovito avrebbero creato per mestare in ogni dove: li condannano in primo grado e li assolvono in appello. "Il Supersismi non esisteva, il Supersismi sono io", dice Pazienza in aula. E così tutto ritorna vago, tra misteri inventati e misteri insabbiati.
Ma il nome di Pazienza risalta fuori, inaffondabile, ogni volta che di una faccia occulta della Repubblica si torna a parlare; a Reggio Calabria parte addirittura una inchiesta che si chiama "Stato Parallelo", la Procura teorizza nientemeno che "un sistema politico-economico pantagruelico e deviato", con dentro insieme ai servizi anche la massoneria e la 'ndrangheta, e chi interrogare se non lui, Pazienza? Che come al solito dice e non dice, manda messaggi, dà l'aria di saperla lunga. Perchè proprio questo, forse, era il suo orgoglio e il suo business: saperla lunga.