I l movimento No Tav della Val Susa s'è liberato dalla morsa dei partiti (salvo il minuscolo Potere al Popolo) e s'è affidato, come agli albori, agli spin doctors dei centri sociali torinesi dell'autonomia, in primis Askatasuna che, una decina di anni fa ebbe la buona idea di aprire un'agenzia in Valle, a Bussoleno, con il nome di Comitato di lotta popolare. La lotta contro il cantiere Tav riprenderà fra breve, secondo la tradizione, ai primi di dicembre e minaccia di essere più violenta del solito. Nei sentieri fradici d'acqua di Chiomonte sono rimasti solo i valligiani irriducibili, gli autonomi, una sparuta colonna di anarchici transfrontalieri, soprattutto francesi di Lione e dintorni, truppe cenciose e male organizzate dalle valli torinesi e cuneesi. Gli ultimi a lasciare precipitosamente la Val Susa sono i grillini di Di Maio. Per loro sono solo «traditori» ed è consigliabile non farsi vedere troppo nei dintorni. Il NO - che aveva catalizzato valanghe di voti - è un lontano ricordo. Restano gli insulti di Grillo a Perino («un fermacarte», secondo l'Elevato di Genova) e l'immensa delusione di vederlo accettare la Tav senza esitazioni: «Non abbiamo i voti in Parlamento, non si può fare niente».
L'idea di traslocare in Valle non venne solo ai capetti marxisti con il mito dei baschi e alla ricerca di nuove «fratture» da allargare nel sistema, ma agli allora portavoce del movimento locale. Lo Stato, dopo una lunga incerta attesa, sembrava pronto a far ripartire l'iter della Torino-Lione e fu subito chiaro che sarebbe stato scontro. Così furono «arruolati» esperti di guerriglia, di conflitto, di comunicazione nel mondo allora ancora oscuro del web. Dopo, arrivarono i primi iscritti ai meet-up grillini che sposarono entusiasti i modelli di democrazia orizzontale che quel nucleo di ex antimilitaristi, cattolici, comunisti - con qualche scoria nostalgica del terrorismo di sinistra (qui nacque e prosperò Prima linea, con il suo corredo di sangue e di omicidi), tuttora presente. Nomi importanti del movimento di Grillo si ritrovarono nei cortei e nelle manifestazioni (tra gli altri) Fico, Di Battista, un'irriconoscibile Castelli allora assai meno glamour, molti dei dissidenti di oggi.
Il portavoce storico, l'ex bancario della Cisl Alberto Perino, sino al marzo 2018, fu innamorato di Grillo e accettò di buon grado, anche nel 2013, di salire sul palco dei comico invitando la gente, e i No Tav, a votare per i pentastellati. Perino ha mantenuto i patti, i grillini no, ora tra l'altro alleati con gli odiatissimi pd che della Tav hanno fatto una bandiera.
E questo è un elemento devastante per gli attivisti del treno crociato. Quando rievocheranno le «battaglie» del 2010 e del 2011, che costarono decine di poliziotti e carabinieri feriti, ondate di arresti, si ritroveranno soli e privi di qualsiasi controllo da parte di una forza comunque istituzionale come il M5s. Una beffa atroce. Tanti di coloro che avevano raccolto l'invito a partecipare al conflitto, migliaia di giovani, oggi si ritrovano ad affrontare gli ultimi processi in Cassazione per incidenti e scontri. Alcuni sono tornati in prigione per scontare residui di pena, mentre non pochi «incendiari» di dieci anni fa sono tranquillamente seduti in Parlamento o sulle comode e discrete poltrone del sottobosco governativo. I sacrifici, il certificato penale compromesso, gli arresti e la prigione, le ingenti spese legali, non sono serviti a nulla, se non a creare attorno a Grillo e i suoi un'aurea rivoluzionaria e la fama di mastini anti-sistema. A Chiomonte comparve la sindaca Appendino che oggi vuole collegare Torino con un «hyper treno» (a lievitazione magnetica). Una mutazione completa.
Per ricordare la distruzione del primo cantiere Tav di Venaus del 2006, ci sarà una mobilitazione dell'antagonismo nazionale. Il tam-tam tra i centri sociali sopravvissuti ai repulisti di Salvini è già partito. Arriveranno da Milano, Napoli, il Centro-Sud, il Nord Est, financo dalla Sicilia e dalla Sardegna. Niente di nuovo. Il solito copione. Gli analisti stimano una forbice tra i 10 e i 20mila attivisti ma nulla è certo. Un flop delle manifestazioni dicembrine radicalizzerebbe ancora di più quel che resta di un movimento comunque coeso nel profondo, spregiudicato e libero da vincoli.
I No Tav cattolici hanno organizzato in questi giorni una staffetta di scioperi della fame per sostenere Luca Abbà, l'anarchico del Cels, uno dei simboli della lotta, caduto da un pilone della luce dove s'era arrampicato nel marzo 2012, quando il cantiere fu allargato, rischiando di morire.
Nel 2009 aveva occupato una casa con altri compagni, fu condannato e ora è arrivato il conto: un anno di carcere ancora da scontare, la condizionale bruciata dalle violenza No Tav. Il simbolo di una disastrosa sconfitta collettiva.
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