I partigiani uccisero suo padre Ora i pm gli negano giustizia

La battaglia di un ottantenne di Ravenna: scopre dopo 70 anni chi ha ammazzato il papà e si rivolge alla procura. Ma gli assassini sono eroi rossi. E nessuno risponde

L a ferita di Tomaso Argelli in 70 anni non si è mai rimarginata. All'alba del 7 febbraio 1945 - di anni ne aveva 10 - dormiva nel lettone con il papà Giuseppe detto Scuscèn , unico vigile urbano di Alfonsine, paese del Ravennate che nel dopoguerra regalò valanghe di voti al Pci. Due uomini bussarono al portone di casa, due partigiani, Argelli ne ricorda ancora i nomi: Annibale Manzoli detto Nèbal e Mario Cassani detto Marii , poi diventato sindaco di Alfonsine e, fino alla pensione, tesoriere della federazione del Pci di Ravenna.

I due intimarono al vigile di saltare in bicicletta e correre a Ferrara per recuperare medicinali che servivano all'ospedale. Argelli era un fascista convinto che però collaborava con il Cln quando si trattava di fare il bene del paese. Gli era già capitata una missione simile insieme con il fratello Anselmo: «Mio zio aveva sposato una comunista ed ebbero salva la vita», sospetta il figlio di Scuscèn . Ma quel giorno Anselmo era malato e Giuseppe fu accompagnato da una donna partigiana. Ricevette un lasciapassare del Cln di Alfonsine. «Mio babbo era molto triste - rievoca Tomaso Argelli -. Mentre vestiva la divisa disse alla mamma, incinta di pochi mesi, che aveva un brutto presentimento. Lei lo scongiurò di non partire ma lui fu irremovibile, disse che aveva dato la sua parola e che i medicinali erano indispensabili. La salutò, poi mi abbracciò e mi strinse a lungo. Non l'ho più visto. E mio fratello Giancarlo, nato qualche mese dopo, non l'ha mai conosciuto».

Verso sera, non vedendolo tornare, i familiari si allarmarono. «La mamma capì subito che cos'era successo. I responsabili della missione non si fecero trovare: le sorti delle medicine non interessavano più. Riuscirono a parlarci soltanto i carabinieri, ma delle indagini e degli interrogatori non c'è traccia negli archivi dell'Arma di Alfonsine e poi di Cervia. Qualche giorno dopo qualcuno venne a riferirci di aver sentito un urlo lacerante, forse mio babbo che veniva scannato». Un conoscente disse loro di aver visto Scuscèn immobilizzato al posto di blocco partigiano sul ponte della Bastia, che scavalca il fiume Senio alle porte del paese. I suoi documenti vennero ritrovati qualche tempo dopo lungo l'argine. Non c'erano più dubbi sulla sua sorte, ma nessuno fece sapere com'era morto il vigile urbano, e dov'era sepolto. «La voce ricorrente era che fu pestato a sangue e stritolato in un torchio per fare il vino».

La ferita è tornata a sanguinare la primavera scorsa. A casa di Tomaso Argelli, alla periferia di Cervia, arriva una telefonata: «Hai letto il libro di Gianfranco Stella? Racconta per filo e per segno la fine del tuo babbo». Stella è un saggista che con i suoi scritti ha fatto luce su alcuni eccidi dei partigiani, tra cui la strage di Codevigo compiuta dalla 28ma brigata comandata da Bulow , cioè Arrigo Boldrini. L'ultimo volume pubblicato (in proprio) da Stella s'intitola «I grandi killer della liberazione». Un saggio storico di quasi 600 pagine su decine di atrocità partigiane finora sconosciute.

Alle pagine 71-74 Stella ricostruisce la fine di Scuscèn grazie a «un'informazione giunta nelle more delle pubblicazioni, e ritenuta seria». Una soffiata attendibile che rivela nomi e cognomi dei congiurati. Giuseppe Argelli sarebbe stato ucciso da due partigiani di Alfonsine, un certo Cicognani detto È Cavaler , poi messo a capo di una coop locale, e Novello Maioli detto Califfo . Il mandante sarebbe stato il capo partigiano di Alfonsine, Dino Bedeschi detto e' Faturèn , in seguito presidente della locale coop braccianti.

I resti del vigile urbano sarebbero stati gettati in uno dei due pozzi della scuola elementare di Borgo Fratti presso Alfonsine, proprio a ridosso dell'argine del Senio. Un edificio basso che sorge in piena campagna, abbandonato da tempo, cadente, circondato da un prato incolto coperto di frammenti di vetri e tegole sbrecciate. In un angolo si trova un pozzo chiuso da un disco di cemento che lascia però un'apertura. Argelli ne è sicuro: «È stato manomesso di recente, dopo l'uscita del libro».

La delazione sul destino di Scuscèn è giunta a Gianfranco Stella soltanto dopo la morte di tutti i protagonisti. Il più noto, Cassani, amico fraterno di Boldrini, si è spento nel gennaio 2013 a 96 anni dopo essere stato sindaco di Alfonsine, consigliere provinciale Pci, vice presidente della Federazione delle cooperative e tesoriere del Pci di Ravenna. L'autore di «I grandi killer della liberazione» fa intendere che chi sapeva ha parlato soltanto quando le rivelazioni non avrebbero più potuto nuocere alle persone coinvolte.

Non molla invece il quasi ottantunenne Tomaso Argelli, sottufficiale di Marina in pensione. Appena saputo che dopo 70 anni di rabbia impotente si poteva fare luce sulla fine di suo padre, ha incaricato l'avvocato Federica Zaccarini di depositare alla procura della Repubblica di Ravenna una denuncia di omicidio volontario contro ignoti con un'istanza di recintare l'area dove si troverebbero i resti di Scuscèn .

Ma la procura ha taciuto, così come l'opinione pubblica cittadina. «Mio babbo fa più paura da morto che da vivo - sibila Argelli - per le conseguenze politiche che comporterebbe il ritrovamento del suo corpo. Verrebbe demolito il mito che circonda una delle persone coinvolte, Mario Cassani, per decenni cassiere ufficiale del Pci di Ravenna che ancora lo venera come un eroe».

All'inizio dell'estate l'avvocato Zaccarini ha depositato una seconda istanza: Argelli è disposto a cercare il cadavere del padre a spese sue, e non dello Stato, se il terreno delle ex scuole elementari di Alfonsine gli fosse messo a disposizione. Ma dalla magistratura è venuto un secondo assordante silenzio. Il sangue dei vinti resta un tabù. E la fine del vigile urbano Giuseppe Argelli detto Scuscèn sembra destinata a restare sepolta nell'omertà.

di Stefano Filippi

nostro inviato a Cervia (Ravenna)

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