"I pm fanno i killer". Musumeci riattizza lo scontro con le toghe

Il ministro condanna il circuito giustizia-media. E la reazione di Anm e sinistra è furibonda

"I pm fanno i killer". Musumeci riattizza lo scontro con le toghe
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"La magistratura è politicizzata, è sotto gli occhi di tutti. Gran parte dei magistrati che ha fatto carriera in Italia proviene dalle file della sinistra, alcuni erano anche dirigenti delle organizzazioni giovanili". Non usa giri di parole il ministro della Protezione civile e del Mare Nello Musumeci, durante l'Etna Forum a Ragalna, in provincia di Catania, per riattizzare il dibattito sull'equilibrio tra poteri dello Stato, sull'autonomia della magistratura e sul ruolo dell'informazione. Un affondo che non passa inosservato, soprattutto per l'espressione usata per descrivere l'azione di alcuni magistrati: "Il magistrato ha il compito di fare il killer, la stampa ha il compito di darne notizia".

Il contesto fornito dallo stesso Musumeci è quello di una lunga serie di vicende giudiziarie che hanno travolto esponenti politici, finiti in prima pagina per accuse poi rivelatesi infondate o comunque cadute. "Decine di casi di uomini e donne sbattuti in prima pagina come mostri ricorda Musumeci e poi assolti perché il fatto non sussiste. Ma intanto la carriera politica è stata distrutta". E qui l'affondo: "Mi chiedo chi trasmetta dal palazzo di giustizia alla redazione quei documenti riservati? E l'uso spregiudicato che ne fa la stampa non ha bisogno di commenti".

Le parole del ministro suscitano la dura replica dell'Associazione nazionale magistrati (Anm): "Definire i magistrati killer è un insulto gratuito e un tentativo di delegittimare chi applica la legge nell'interesse dei cittadini". L'Anm ricorda come proprio la magistratura italiana, con le forze dell'ordine, garantisca uno dei più bassi tassi di omicidi in Europa: "Chi ricopre incarichi di governo dovrebbe misurare le parole, invece di alimentare sospetti e propaganda contro chi ha il solo compito - costituzionale - di rendere giustizia. I killer sono quelli che noi assicuriamo alla giustizia". Sulla stessa linea anche il consigliere laico del Csm Ernesto Carbone, che invita Musumeci siciliano a visitare luoghi simbolo come Capaci, via D'Amelio e la provincia di Agrigento: "Forse capirebbe meglio chi sono i killer e chi i magistrati". Per la senatrice Enza Rando (Pd) invece, "delegittimare la magistratura significa colpire al cuore lo Stato di diritto. Chi governa dovrebbe rispettare le istituzioni, non minarle". Ma l'intervento di Musumeci si inserisce in un dibattito che da anni attraversa il Paese. Già lo scorso anno, l'ex giudice costituzionale Sabino Cassese, intervenendo alla Leopolda, aveva lanciato un appello alla stampa: "È tempo di rompere la catena di trasmissione tra i pm e i giornalisti. Gli atti d'indagine devono essere filtrati, interpretati, contestualizzati.

L'informazione giudiziaria ammoniva Cassese non può essere una cassa di risonanza automatica per le procure". Il suo invito era rivolto anche ai giornalisti: "Bisogna esercitare un vaglio critico, non alimentare il giustizialismo di maniera".

In questa chiave, le parole di Musumeci portano alla luce una questione ancora irrisolta: quella dell'equilibrio tra i poteri e dei meccanismi di responsabilità che dovrebbero regolare il rapporto tra magistratura, politica e informazione. Da Tangentopoli a oggi, il tema delle inchieste "mediatiche" con fughe di notizie e sentenze anticipate dai titoli torna ciclicamente ad accendere lo scontro. Lo stesso Musumeci, a margine dell'evento, ha provato a stemperare i toni: "Spero che magistratura e politica ritrovino equilibrio".

Ma se da una parte c'è chi intravede una sorta di strategia di scontro sistematico con la magistratura, il dibattito sul rafforzamento del sistema democratico, nel rispetto delle prerogative e dei limiti di ciascun potere, resta più che mai aperto.

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