Coronavirus

I processi online causa Covid sono già realtà. Da Davigo all'Anm: siano virtuali per sempre

Gratteri: "Risparmieremmo milioni di euro". I legali: difesa impossibile

I processi online causa Covid sono già realtà. Da Davigo all'Anm: siano virtuali per sempre

Il processo da remoto, anche detto «smaterializzato» o «cancellato dall'Amuchina», è il futuro della giustizia oppure spazza via una serie di diritti sanciti dalla Costituzione? Con la conversione in legge del decreto Cura Italia le udienze via webcam, almeno per i casi «urgenti», sono una realtà. Una strada alternativa al dibattimento in carne e ossa che è stata messa nero su bianco e che spaventa molti. Il timore è che possa essere battuta anche dopo l'11 maggio, giorno fino a cui le udienze in aula sono ferme per l'emergenza Coronavirus.

Sui fronti opposti stanno, a grandi linee, i magistrati (ma non solo) e gli avvocati. Al Csm la corrente che fa capo a Piercamillo Davigo, Autonomia e Indipendenza, ha proposto che le novità «telematiche» diventino la regola, anche dopo la fine del lock down. Nicola Gratteri ha argomentato a Otto e mezzo: «Se il potere politico avesse dato ascolto alla mia commissione del 2014, quando parlavo di processo a distanza, e quindi di convalida degli arresti con il detenuto in carcere, il giudice nel suo ufficio, il pubblico ministero nel suo e l'avvocato da casa, oggi saremmo arrivati preparati e avremmo risparmiato non milioni ma bilioni di euro». Pure Piero Grasso ha definito una «opportunità» la possibilità di effettuare le udienze penali da remoto. Si è detto «favorevole» all'opera di «ammodernamento della macchina giustizia anche mediante la digitalizzazione». A Italpress ha dichiarato: «Lo sostengo da anni». Non solo: «Non si capisce questo clima di scontro e barricate» da parte degli avvocati «verso strumenti che non saranno mai obbligatori ma condizionati» alle circostanze. Da parte sua l'Anm spiega che il processo da remoto «è l'unica risposta adeguata» alla situazione. Risposta che «consentirà una parziale ma significativa ripresa delle attività nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale e delle ulteriori cautele che dovranno accompagnare le nostre vite nelle prossime settimane. Non si tratta di derogare ai principi e alle garanzie proprie del modello costituzionale di processo». Questa disciplina, assicura l'Associazione nazionale magistrati, durerà solo fino al superamento dell'emergenza. Tuttavia non è razionale «rimettere alla sola volontà delle parti la scelta della modalità da remoto». Sottolinea il presidente Luca Poniz (Rai Radio1): «Nessuno immagini scenari orwelliani». Le polemiche sono «senza fondamento» per una soluzione «strettamente legata a questa fase». Comunque, nella fase della ripresa «bisognerà continuare con i processi a distanza» nell'attesa di riaprire le aule «a macchia di leopardo».

I presidenti delle Camere civili e delle Camere penali, Antonio De Notaristefani e Gian Domenico Caiazza, si ribellano all'«intervento a gamba tesa» dell'Anm e alle «spinte giustizialiste» del governo. Il processo da remoto, si legge in una nota, ha «devastanti implicazioni» ed è incompatibile «con i principi costituzionali». Ancora: «Le dichiarazioni di alcuni (soliti) magistrati adusi ai proclami mediatici svelano poi il disegno di rendere tali misure, che oggi si intendono sperimentare, stabili nel nostro ordinamento». Aggiunge Caiazza: «Non c'è nulla di più fisico della discussione in aula». Così gli avvocati milanesi Eugenio Losco e Mauro Straini sul blog Giustiziami: «Il processo è innanzitutto un diritto dell'imputato», fin qui basato su «tre fondamentali pilastri: oralità, immediatezza, contraddittorio».

Un rito oggi compresso nelle due dimensioni di uno schermo, spazzato via «con un colpo di Amuchina» che rende «impossibile» esercitare la difesa.

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