I sogni della minoranza Pd: via Matteo, Veltroni premier

Zanda invita il leader a fare un passo indietro mentre nel partito aumenta la paura di "correre per perdere"

I sogni della minoranza Pd: via Matteo, Veltroni premier

Mentre Matteo Renzi assicura che lui «non molla», nonostante i tanti che «da mesi cercano di mettermi da parte», nel suo partito la tensione è altissima. E certo la decisione di Renzi di impegnare nella prossima Direzione il Pd a rilanciare la campagna anti-vitalizi non contribuisce a sedarla.

Sono in pochi a dire apertamente che il leader consacrato dalle primarie debba fare un passo indietro. Il primo a rompere il fronte della maggioranza interna è il capogruppo dei senatori Luigi Zanda: «Il nostro Statuto prevede che segretario e candidato premier siano la stessa persona. Solo Renzi può spezzare questo legame. Deve valutare se in questa fase convenga che sia lui a coprire entrambi i ruoli». Un segnale chiaro, nonostante gli eufemismi diplomatici, che interpreta quello che altri pensano: serve un candidato premier diverso per spezzare l'assedio, allargare la coalizione e tentare di essere competitivi alle prossime elezioni politiche. Perché è vero, come nota Renzi nella sua analisi del voto, che in Sicilia il Pd ha preso esattamente gli stessi voti che nel 2012, quando vinse con Crocetta. È vero che i Cinque Stelle sono andati molto peggio di quanto sperassero, che il centrodestra ha vinto come sempre in Sicilia quando si è presentato unito e che la sinistra anti-Pd ha fallito, nonostante l'appoggio di Grasso, di Bersani, di D'Alema, prendendo meno voti di quando si presentò Sel da sola. Ma è altrettanto vero che le prossime politiche, col Rosatellum, sono tutt'altro altro paio di maniche. «Così corriamo per perdere - è la cupa analisi di un dirigente Pd - tant'è che nessuno vorrà candidarsi nei collegi. Al Sud abbiamo il 10%, nel Nord non ne prenderemo neppure uno. E perfino in Emilia Romagna rischiamo di perderne la metà». Il calcolo che viene fatto è che, con Mdp pronta a schierare i suoi candidati, il Pd rischia di perdere tra i 40 e i 50 collegi un tempo facilmente contendibili. «E quelli (Bersani, D'Alema eccetera) non puntano certo a vincere qualcosa: hanno una sola ragione di esistenza, far perdere noi». La stessa impressione che ha ricavato il renziano Lorenzo Guerini che ieri, in Transatlantico, ha avuto un colloquio col bersaniano Stumpo. «Noi siamo pronti a ragionare con chi non vuol far vincere la destra o Grillo. Ma a patto che non ponga veti: la Sicilia dimostra che l'alternativa al Pd da sinistra non ha sbocchi», dice Guerini. Ma il veto di Mdp su Renzi è chiaro.

In questo clima, sottolinea lo stesso dirigente parlamentare del Pd, «trovare qualcuno che fa la campagna elettorale sarà difficilissimo».

L'allarme è condiviso da molti nel Pd. C'è chi voleva puntare su Gentiloni, ma le avance sono state respinte dal premier. C'è chi parla di Minniti. Ma la vera carta su cui molti, nel Pd, cominciano a puntare è un'altra: un «padre nobile» che abbia dimostrato la sua non ostilità a Renzi, ma che abbia l'appeal necessario per rompere il fronte della sinistra anti-renziana.

E chi meglio del fondatore del Pd, Walter Veltroni, potrebbe ricoprire il ruolo di candidato premier di una coalizione di centrosinistra che provi a recuperare il terreno perduto? Per rendere appetibile l'ipotesi anche ad una parte dei renziani, si aggiunge un tassello: subito dopo le elezioni, si potrebbe celebrare un nuovo congresso del Pd, e offrire la candidatura ad un esponente da sempre vicino all'ex premier come il ministro Graziano Delrio.

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