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I timori di Orbán per il quarto mandato. Tra appoggio a Putin e un voto anti gay

Per la prima volta dopo 12 anni la sua leadership è in forse. Lo sfidante Peter Marki-Zay: "Per il Paese svolta europeista"

I timori di Orbán per il quarto mandato. Tra appoggio a Putin e un voto anti gay

Berlino. Oggi in Ungheria è la giornata di due referendum: il primo è una consultazione voluta dal governo del premier uscente, Viktor Orbán, con cui si chiede ai cittadini di confermare cinque provvedimenti che limitano la promozione di orientamenti sessuali diversi dall'eterosessualità. Il secondo sono le elezioni politiche che si svolgono in un clima di polarizzazione tale da essere diventate un referendum sul capo del governo. Da una parte i nazionalisti conservatori di Fidesz, il partito di Orbán, chiedono la conferma del premier per la quinta volta consecutiva; dall'altra una variopinta coalizione di sei partiti guidata da Péter Márki-Zay punta a dare la spallate al regime del «Viktator», il nomignolo con cui gli oppositori del premier magiaro gli rimproverano di aver trasformato l'Ungheria in una «demokratura» illiberale caratterizzata da uno scontro costante con l'Ue, di cui l'Ungheria fa parte 2004, dalla compressione dei diritti civili e da un forte controllo del governo sulla stampa. E se queste tensioni non fossero sufficienti, le due consultazioni si svolgono all'ombra della guerra russo-ucraina, un conflitto che ha ulteriormente esasperato le contraddizioni dell'Ungheria di Orbán. Al pari della Polonia, della Romania o della Lituania, l'Ungheria confina con l'Ucraina, e al pari di questi paesi ha conosciuto il peso del dominio russo, basti ricordare i blindati dell'Armata Rossa inviati da Nikita Krusciov a reprimere nel sangue la rivoluzione del 1956. Tutti i governanti d'Europa centro-orientale temono Mosca; tutti tranne Orbán, il meno convinto dei leader della Nato nel condannare la guerra scatenata da Vladimir Putin contro Kiev. Budapest ha respinto le sanzioni antirusse sull'energia e si è ben guardato dall'inviare aiuti militari all'Ucraina. Grande ammiratore di Putin e primo acquirente del vaccino Sputnik messo a punto dagli scienziati russi per combattere il coronavirus, Orbán non ha invece alcuna simpatia per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, accusato di privare del diritto alla propria lingua i circa 150 mila ungheresi etnici con il passaporto ucraino. I numerosi flirt del premier magiaro con la Russia (e con la Cina), conditi dai suoi continui scontri con Bruxelles su immigrazione, vaccini, finanziamenti, legge elettorale, libertà di stampa e norme anti-lgbt hanno fatto chiudere allo sfidante Márki-Zay la campagna per il rinnovo del Parlamento con un appello a votare «per chi sta dalla parte giusta» della storia e per chi non vuole un semplice cambio di maggioranza ma «un cambio di regime» per tornare alla democrazia. Contrario alle leggi anti-gay (bocciate anche dal Parlamento europeo), lo sfidante di Orbán è un cattolico praticante, padre di sette figli. 49 anni, economista e ingegnere con esperienze di lavoro in Canada e negli Stati Uniti, Marki-Zay è assurto alla notorietà a livello nazionale per aver strappato nel 2018 l'elezione a sindaco nella cittadina di Hodmezovasarhely considerata una roccaforte di Fidesz. Alle primarie dello scorso ottobre si è imposto sugli avversari diventando il candidato premier di Uniti per l'Ungheria, una coalizione che mette assieme partiti quali il centro sinistra di Coalizione Democratica, i liberali di Momentum, gli ecologisti e l'ex estrema destra di Jobbik. Lo scontro è acceso e l'intera Ungheria è tappezzata di manifesti elettorali. Secondo i sondaggi, Uniti per l'Ungheria incalza il partito del premier che però sarebbe ancora in vantaggio grazie all'ampio sostegno che Fidesz miete nelle aree rurali del paese.

Stasera, se Orbán cadrà saranno in molti a rallegrarsene fra Berlino e Bruxelles, ma a dispetto della contestazione interna e della forte ostilità dell'Ue, il Viktator ha dimostrato essere un leader molto coriaceo.

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