Mi era sembrata sveglia e intelligente la giornalista di Repubblica contrapposta da Lilli Gruber allo pseudoministro della giustizia Alfonso Bonafede, disperato difensore di principi e valori che non ha mai avuto. Annalisa Cuzzocrea gli chiede, con grande equilibrio, «se ogni tanto pensa agli innocenti che finiscono in carcere? Perché sono tantissimi». «Ma cosa c'entra? Gli innocenti non finiscono in carcere», è l'insensata risposta di Bonafede, che subito la Cuzzocrea smentisce: «No, scusi, dal 1992 al 2018 27mila persone sono state risarcite dallo Stato perché erano finite in carcere da innocenti. Quindi gli innocenti finiscono in carcere».
Siccome le considerazioni erano logiche e inappuntabili (dal 1992 ad oggi lo Stato italiano ha speso 700 milioni di euro per ingiusta detenzione. Ogni anno circa 15 milioni di euro), il bilioso Travaglio, per cui un cittadino innocente e libero è un'anomalia, perché l'uomo è sempre colpevole, corre subito in soccorso del criptoministro e scarica le sue metaforiche randellate sulla brava Cuzzocrea: «Una giornalista di Repubblica, ignara di vent'anni di battaglie del suo giornale per bloccare la prescrizione, contestava la legge che blocca la prescrizione: Lei non pensa agli innocenti che finiscono in carcere?. Argomento demenziale visto che la blocca-prescrizione non cambia di una virgola la sorte degli eventuali innocenti in carcere, i quali non possono essere detenuti che espiano la pena, ossia i condannati in via definitiva, per definizione colpevoli. Ma i detenuti in custodia cautelare (arrestati prima della sentenza in base a gravi indizi di colpevolezza per evitare che fuggano o inquinino le prove o reiterino il reato): che però, per la nostra Costituzione, sono già presunti innocenti. Quindi non c'è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere: è la legge che lo prevede. Solo la sentenza definitiva dirà se è colpevole o innocente».
Meraviglioso: viviamo tutti in presunto stato di colpevolezza, ed è veramente eccezionale che siamo liberi. Per Travaglio «non c'è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere», naturalmente. C'è tutto di scandaloso invece, in particolare l'indifferenza con cui la «Bestia del Fatto» travolge diritti e dignità. Cosa importa che 27mila innocenti siano stati in carcere? Un piccolo errore: la giustizia non deve essere giusta, deve essere minacciosa, violenta, umiliante. Travaglio ricorda Don Fernando Nino De Guevara, il Cardinale spagnolo inquisitore generale di cui conosciamo il volto segaligno dal ritratto di El Greco. Il grande inquisitore nominava i suoi esecutori con lo spirito di Travaglio: «Noi, per misericordia divina inquisitore generale, fidando nelle vostre cognizioni e nella vostra retta coscienza, vi nominiamo, costituiamo, creiamo e deputiamo inquisitori apostolici contro la depravazione eretica e l'apostasia nell'inquisizione di (qui veniva inserito di volta in volta il nome del luogo dove l'inquisitore veniva mandato) e vi diamo potere e facoltà di indagare su ogni persona, uomo o donna, viva o morta, assente o presente, di qualsiasi stato e condizione che risultasse colpevole, sospetta o accusata del crimine di apostasia e di eresia, e su tutti i fautori, difensori e favoreggiatori delle medesime».
A confortare questi confronti ci sono, incredibilmente, i dati che riguardano il più grande dei grandi inquisitori, Thomas De Torquemada, responsabile della morte sul rogo di 10.280 persone, della punizione con infamia e confisca dei beni di altri 27.021. Si tratta di azioni violente, relative non a reati ma a presunzione di reati secondo lo schema di Travaglio. Mi sono trovato a parlarne in televisione con una sottospecie di Travaglio, il sinistro Barbacetto, e mi è subito arrivato un messaggio eloquente che mi ha ricordato anni lontani di inaudita violenza , quando iniziarono le persecuzioni che non sono finite : «La vedo in diretta su Rete4 e mi farebbe piacere ricordasse in quel contesto anche mio padre Franco Quattrone (Dc) arrestato nel 1992, accusato inizialmente come mandante dell'omicidio Ligato assieme ai deputati Battaglia (Dc) e Palamara (Psi) e poi a seguire di tutto di più, a catena, 13 mesi di detenzione, 17 processi e, dopo oltre 20 anni complessivi di sofferenza, assolto o addirittura con sentenza di non luogo a procedere. Mio padre è morto nel 2012 anche per la sofferenza subita. Sua e di tutti noi.
Ho realizzato un documentario che presenterò a fine marzo per raccontare anche questa storia. La ringrazio sempre anche per il suo supporto mai mancato. Non dimenticherò mai Sgarbi quotidiani su di lui. Grazie. Maria Francesca Quattrone». Ma gli inquisitori non si vergognano neanche davanti ai morti.
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