Alla fine con tutto questo ti toccherà conviverci. La pandemia non è finita. È qui, la respiri, ci fai i conti, fino ad abituarti. Non è finita, ma non ha più il rumore dell'onda anomala, improvvisa, devastante. Non è passata la paura, ma è diventata quasi normale, codificata, protocollata, messa a sistema. Il virus corre, muta, si adatta e cerca la sopravvivenza. L'umanità fa la stessa cosa. Non c'è però in giro una pozione magica che fa sparire il Sars Cov 2 per sempre o lo rende innocuo. Non basta una dose salvacondotto. Non ne bastano due. Adesso sappiamo che ne servirà una terza. Lo ha confessato Roberto Speranza, ministro della Salute, al termine del G20: «La terza dose in Italia ci sarà, partiremo nel mese di settembre con le persone con una risposta immunitaria fragile». Non è detto che sia l'ultimo atto.
Israele sui vaccini da tempo svolge un ruolo di apripista. La terza dose lì è già realtà. È interessante quello che dice il capo degli epidemiologi. Si chiama Salman Zarka. «Ci saranno richiami a vita. Bisogna abituarsi». Servirà una quarta dose e poi un'altra, come accade con i vaccini contro le influenze stagionali. Il virus muta e il vaccino lo segue. L'idea di Zarka per ora è solo un'ipotesi. È chiaro però che sta cambiando il rapporto con il Covid. È cambiato lo sguardo. Non si dice più di tenere duro perché il nemico verrà sconfitto e debellato. Non c'è l'arcobaleno dopo la tempesta. C'è la convivenza e bisogna gestirla.
Solo che adesso oltre al vaccino servono cure e risposte. Quanto è letale questa convivenza? Quali sono i rischi di un virus che muta e non si arrende? Ci sarà mai un dopo? Le risposte in questa storia non spettano solo ai virologi. L'ultima parola dovrà essere politica.
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