Niente taglio ai superstipendi dei top manager Rai, nessun allineamento al tetto di legge dei 240mila euro applicato persino al presidente della Cassazione ma non ai dirigenti di Viale Mazzini, dipendenti pubblici più uguali degli altri. Al massimo, annuncia il dg renziano Campo Dall'Orto nel suo ormai celebre linguaggio sibillino, una fantomatico «percorso di autoregolamentazione» concordato col Cda affinché «si possano individuare delle fasce che identifichino i diversi ruoli in modo tale che ci sia corrispondenza fra responsabilità e compensi». Cioè? Nella migliore delle ipotesi piccoli ritocchi, magari giocando con la parte variabile della retribuzione o con l'indennità legata all'incarico, anche perché c'è il rischio che i dirigenti facciano causa se gli si tocca lo stipendio.
La presidente Rai Maggioni e il dg Dall'Orto si presentano all'audizione in Vigilanza Rai visibilmente infastiditi dal «processo» subìto dopo la pubblicazione delle retribuzioni Rai sopra i 200mila euro (obbligatorio per legge), a partire dalle loro, molto più alte dei predecessori a cui si era applicato il limite di legge. Se la Tarantola, presidente della Rai fino al 2015, si era ridotta lo stipendio a 177mila euro dopo l'introduzione dei tetti, la Maggioni ha un compenso ben superiore, 270mila euro. E mentre Gubitosi, precedente dg Rai, si era dovuto auto-tagliare la retribuzione a 240mila euro, l'attuale direttore generale ne prende 650mila, quasi tre volte il presidente della Repubblica. Ma non l'ha chiesta lui quella cifra, gliel'ha proposto la Rai e lui ha accettato, spiega Dall'Orto: «Io vengo dal settore privato, nei miei lavori precedenti negoziavo lo stipendio, stavolta no, mi hanno detto quale era la cifra di prima (ma precedente al taglio, ndr) e io ho detto perfetto».
Al dg scelto dal premier Renzi, «il dibattito che si è sviluppato, lo dico in modo franco, culturalmente non mi interessa» perché «non intercetta la potenzialità della trasparenza» (sic), e forse anche perché rende i vertici Rai piuttosto impopolari mentre nelle case arrivano le bollette maggiorate dei 70 euro del canone Rai. Se ci sono delle «storture» nei megastipendi di dirigenti, tra cui molti strapagati per non far nulla, per Dall'Orto la colpa è di chi lo ha preceduto: «Io non c'ero, siamo d'accordo che le storture arrivano dal passato, che noi le abbiamo ereditate?». Il senatore Gasparri non è affatto d'accordo e prova a farlo sapere ma il presidente grillino della Vigilanza Fico lo richiama all'ordine. La chiave sta nell'espediente dei bond, una deroga alla legge del 2014 sui compensi della Pa che prevede l'esclusione dalla spending review sugli stipendi per «le società quotate e quelle che emettono titoli negoziati su mercati regolamentati». La Rai ne ha subito approfittato emettendo dei bond, così da derogare al tetto sui 240mila euro. Cosa buona e giusta secondo la presidente Maggioni: «L'operazione del bond è servita a ristrutturare il debito aziendale con un enorme risparmio», non si può «seppellire la Rai sotto l'ondata del dibattito» sugli stipendi d'oro. Che sono, assicura la Maggioni, più basse rispetto ai competitor privati, e in molti casi adeguati per «un'azienda che deve essere in grado di stare su un mercato complicatissimo» e che quindi deve selezionare, e retribuire, «figure dirigenziali attentamente valutate». Il problema è che il Parlamento, come ricorda Brunetta, ha approvato un ordine del giorno proprio per definire quali società pubbliche rientrino nella deroga ai tetti di stipendio, ovvero quelle che operano «prevalentemente nel mercato finanziario».
Dunque non la Rai, dove l'aggiramento del tetto di 240mila euro si configurerebbe quindi come «un imbroglio». I vertici Rai paiono accerchiati. Anche il Pd renziano chiede la riduzione degli stipendi, mentre il M5s annuncia un emendamento ad hoc. Quanto reggerà la trincea (d'oro) di Viale Mazzini?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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