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I vetri rotti e la città dei delinquenti

Colpita al cuore, violata nei suoi simboli

I vetri rotti e la città dei delinquenti

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I vetri rotti e la città dei delinquenti

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Colpita al cuore, violata nei suoi simboli. Prima la statua a Vittorio Emanuele II nella centralissima Piazza Duomo imbrattata con la vernice (nemmeno lavabile) dagli ecovandali coccolati dalla sinistra, adesso addirittura la Galleria sfregiata dai graffitari di fronte agli occhi allibiti di un mare di turisti e nella latitanza assoluta delle forze dell'ordine. Bazzecole e ragazzate si dirà, le cose gravi sono altre. E, invece, non è così. Perché alla fine sta tutto nella «Teoria delle finestre rotte», ripeterebbe ancora oggi Gabriele Albertini, il miglior sindaco che l'Italia abbia avuto e che i milanesi non hanno ancora dimenticato. Quel modello studiato dalla criminologia che fissò la capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva, portando il sindaco di New York Rudolph Giuliani a mettere in campo la sua strategia della tolleranza zero. Quella a cui più volte disse di ispirarsi lo stesso Albertini che andava ripetendo come il consentire alla piccola delinquenza di «rompere le finestre in un quartiere», avrebbe generato quella criminalità poi impossibile da contrastare. Sembravano le ossessioni di un primo cittadino di centrodestra tutto legge e ordine, ma invece il tempo e i suoi successori hanno dimostrato quanto avesse ragione. Perché dopo di lui troppo dalla sinistra è stato concesso: nessuna lotta ai graffiti sui muri, via i vigli di quartiere che pattugliavano strade e piazze, campo libero alle borseggiatrici sui mezzi, ai punti di raduno degli immigrati irregolari, ai bivacchi di senzatetto in pieno centro, ai party dei sudamericani nei parchi, alle stazioni ridotte a piazze di spaccio per tossicodipendenti. Tutte in sé piccole cose forse non meritevoli di allarme, ma troppo finestre rotte in una città che è diventata così terra di conquista per chiunque decida di abusarne. Siano le gang di sudamericani al Corvetto o le bande di spacciatori marocchini a Porta Nuova, i rapinatori in Corso Como o i graffitari nei depositi di treni e metro, i violentatori di Capodanno in Piazza Duomo o quelli che aspettano le loro giovani prede fuori dalle discoteche. O addirittura dentro, come è recentemente successo in via Padova. Perché se ci sono tante finestre rotte, lanciare il sasso a quella rimasta intera è una tentazione troppo forte.

Soprattutto se si può contare sull'anonimato concesso da una città troppo poco presidiata e su quella certezza di impunità così diffusa nelle città amministrate da una sinistra così colpevolmente tollerante.

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