Gli idioti in piazza e quelli (peggiori) che non condannano

Se fossimo un Paese normale, un Paese serio, chi delinque dovrebbe essere arrestato, tradotto in giudizio e condannato a un certo numero di anni di galera come prevede il nostro stesso Codice penale

Gli idioti in piazza e quelli (peggiori) che non condannano

A giudicare dalle parole del (bolso) ventunenne che ha dichiarato, in una intervista dopo i disordini di Milano, di «aver fatto una bella esperienza» assistendo alla devastazione di banche e negozi da parte dei suoi coetanei, alcuni di quelli che scendono in piazza per protestare contro la società in cui vivono, magari rammaricandosi, come lo stesso intervistato, di non aver potuto partecipare alle devastazioni, o sono dei perfetti idioti, incapaci persino di articolare un pensiero in un italiano decente, se non intercalandolo con una serie di espressioni prive di senso comune - «cazzo», «cazzo», «cazzo» - o sono dei delinquenti che confondono il diritto di manifestare con la pretesa di distruggere tutto ciò che trovano sul proprio cammino; e più spesso entrambi.

Frequentano, per lo più, i cosiddetti «centri sociali», la cui principale funzione pare sia quella di educare (si fa per dire) alla protesta fine a se stessa, al rifiuto del mercato e del capitalismo, senza fornire una minima ragion d'essere, né culturale, né sociale, né politica, che non sia il semplice rifiuto della società dove vivono spesso egregiamente alle spese di genitori troppo compiacenti. Se la sinistra, cui si deve la proliferazione e l'esistenza stessa di tali centri sociali, conta di creare in tal modo una propria classe dirigente, ha già decretato, con la propria inconsistenza culturale, il proprio fallimento politico e la propria fine.

Una riflessione sul fenomeno la merita, però, anche la politica. Se fossimo un Paese normale, un Paese serio, chi delinque, ancorché in nome del diritto a manifestare, dovrebbe essere arrestato, tradotto in giudizio e condannato a un certo numero di anni di galera come prevede, del resto, il nostro stesso Codice penale. Se non accade, è perché conviene a qualcuno che ci siano personaggi di tal fatta in circolazione e qualcun altro ne è addirittura complice, a cominciare da una certa magistratura che, in nome di una idea tutta ideologica di democrazia e di progresso civile e sociale, assolve sistematicamente chi delinque, solo perché sostiene di fare la rivoluzione. La quale rivoluzione non è un fatto giuridico, previsto e legittimato dal nostro ordinamento, bensì un fatto normativo, cioè un'azione volta a distruggere l'ordinamento esistente per sostituirlo con un altro.

Nessuno Stato al mondo può accettare che le proprie strade e le proprie piazze siano messe a ferro e fuoco. Capisco, inoltre, la madre di quel ventunenne che si vergogna di uscire di casa con un figlio di tal fatta. Gentile signora, invece di vergognarsene, quando suo figlio ritiene di aver fatto «una bella esperienza», nell'aver assistito alle devastazioni di negozi e di banche e si rammarica di non aver avuto la possibilità di farle lui stesso, gli dia un paio di sberle e gli faccia capire che se è ancora al liceo a ventun anni, la colpa non è della società, ma sua, di lui medesimo, che crede di essere un rivoluzionario e di fare la rivoluzione. Con la mutua e il benestare di polizia e carabinieri. Le banche e i negozi sono, magari, sì, un simbolo del capitalismo, ma sono anche, storicamente, un servizio del quale egli stesso e la sua famiglia usufruiscono.

Il problema non è impedire le manifestazioni nel timore che degenerino in disordini, ma di perseguire penalmente chi delinque durante le manifestazioni stesse. Se coloro i quali, ad ogni manifestazione di civile protesta, fanno seguire l'assalto a banche e negozi, fossero arrestati e rapidamente condannati a qualche anno di galera, avremmo meno delinquenti truccati da progressisti immaginari e l'Italia sarebbe un Paese normale come tanti altri Paesi occidentali non meno democratici del nostro. Perciò, chi si augura si metta in galera chi delinque in nome della democrazia, del progresso e del diritto a manifestare, e partecipa a democratiche manifestazioni solo per creare disordini e fare danni non è un reazionario, ma è un cittadino che vuole solo vivere in un Paese normale, dove non si confondano le manifestazioni democratiche di protesta con la pretesa di spaccare negozi e banche al riparo di una ridicola e antistorica ideologia anticapitalistica. Molte delle automobili bruciate da questi delinquenti durante la manifestazione di Milano erano, probabilmente, di proprietà di lavoratori che se l'erano comprate col lavoro e con sacrificio e i cui interessi questi falsi progressisti hanno creduto di difendere in nome dell'eguaglianza e del socialismo. Che, da parte sua, ha una grande tradizione umanitaria che finisce con essere sistematicamente infangata da costoro.

Chi, dunque, crede di fare la rivoluzione e grida alla reazione non appena un poliziotto o un carabiniere lo arresta e lo traduce in giudizio e un magistrato lo condanna è un fuorilegge che non ha alcun diritto di vivere in una società aperta e, tanto meno, di goderne i benefici, compresi quelli sociali. Godere di tali benefici e delle garanzie della democrazia liberale e, poi, abbandonarsi ad atti di vandalismo nel loro nome, è una contraddizione culturale, politica e persino morale della quale chi se ne macchia deve rispondere alla società cui appartiene e, soprattutto, a chi va a una manifestazione di protesta con le migliori intenzioni e non vuole essere confuso con chi delinque.

Se da qualcuno si deve difendere la nostra democrazia è, infatti, proprio dal genere di delinquenti che hanno messo a ferro e fuoco le strade di Milano; essi stessi, col loro operato, sono il fondamento di eventuali svolte reazionarie e autoritarie alle quali dicono di volersi opporre. La storia della sinistra è ricca di episodi di tal genere. Meditate gente, meditate...

piero.ostellino@ilgiornale.it

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