I democratici americani hanno varcato il loro Rubicone, Donald Trump è stato messo in stato di impeachment per abuso di potere e per ostruzione alla giustizia da una ampia maggioranza della Camera dei Rappresentanti. Una mossa che la Speaker democratica della Camera Nancy Pelosi ha salutato «con orgoglio», sottolineando il «coraggio morale» dei deputati del suo partito e assicurando che i suoi vertici non hanno esercitato su di loro alcuna pressione perché votassero in favore della messa in stato d'accusa del presidente degli Stati Uniti. Va chiarito che Pelosi gioca sottilmente sul fatto che la Costituzione americana prevede che deputati e senatori giudichino il presidente in modo imparziale e non in base a pregiudizi politici: nella sua veste di presidente della Camera quindi, e non di leader di partito, aveva inviato ai 232 membri democratici della Camera una lettera in cui li esortava ad agire seguendo il dettato costituzionale. Lei stessa si è detta obbligata dai fatti ad agire, ma i repubblicani la accusano di ipocrisia e gridano al colpo di Stato.
In effetti solo una minuscola minoranza di due-tre deputati, tra cui spicca la candidata alla Casa Bianca Tulsi Gabbard, ha scelto di astenersi o di votare contro. Il motivo di questa opposizione coincide con le accuse che arrivano dal partito repubblicano, e cioè che si sia trattato di un «processo politico di parte». Accusa che da ora in avanti i repubblicani che a riprova della crescente polarizzazione politica hanno votato senza eccezioni contro - brandiranno quotidianamente nel dibattito da qui alle presidenziali del novembre 2020. Anche l'opinione pubblica statunitense è divisa a metà sulla questione dell'impeachment: l'ultimo sondaggio indica un 47,2% di favorevoli e un 46,3% di contrari.
Trump, che al momento del voto della Camera stava tenendo un discorso nel Michigan, uno degli «swing States» che decideranno le prossime presidenziali, ha reagito accusando «i fannulloni democratici e l'estrema sinistra» di «atroci falsità e di attacco all'America e al partito repubblicano», assicurando di «non aver fatto nulla di male». Trump si è detto certo che l'attacco contro di lui si rivelerà un boomerang decisivo per i democratici, dandogli l'opportunità di conquistare un secondo mandato alla Casa Bianca. I vertici del Grand Old Party si sono schierati uniti a difesa del presidente, e il numero uno del partito al Senato Mitch McConnell ha parlato di «precedente tossico» per la democrazia americana. Trump, in base alla Costituzione, dovrà ora essere processato proprio dal Senato, ed è questo un passaggio delicatissimo. Da una parte perché qui i repubblicani sono maggioranza, mentre per far decadere il presidente dalle sue funzioni occorre un voto favorevole dei due terzi dei senatori, il che appare impossibile. Dall'altra perché lo stesso McConnell ha recentemente dichiarato che tra i suoi compiti non ci sarebbe quello di essere un giudice imparziale. In queste ore, Nancy Pelosi starebbe valutando se sospendere l'invio degli atti al Senato «in attesa che si creino le condizioni di un processo imparziale». Altra benzina sul fuoco delle accuse repubblicane.
Intanto il presidente americano ha trovato un alleato illustre oltre frontiera.
È il suo collega russo Vladimir Putin, che ieri davanti a centinaia di giornalisti si è detto certo che le accuse contro Trump siano soltanto un mucchio di fandonie senza prove a sostegno. Questa, invece, è tutta benzina per i democratici, che accusano Trump di essersi venduto ai russi in cambio del loro aiuto illegale per essere eletto nel 2016.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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