I colpi di scena nella vicenda del giornalista russo Arkady Babchenko sembrano presi in prestito dal romanzo di Vazquez Montalban Luis Roldan né vivo né morto. Lo scrittore galiziano giocava sulla sorte del (vero) comandante della Guardia Civil, mentre il caso Babchenko è una sceneggiatura che prende vita e racconta della morte e della «resurrezione» del giornalista inviso all'establishment putiniano. Sta di fatto che Babchenko, dato martedì sera vittima di un assassinio a Kiev, è vivo e gode di ottima salute. È apparso in una conferenza stampa con il capo dei servizi di sicurezza ucraini a Kiev e la sua morte non è stata altro che una messa in scena. «Avevamo scoperto un piano per assassinarlo - ha commentato il direttore degli 007 Vasily Gritsak -. A quel punto non abbiamo potuto fare altro che organizzare un'operazione speciale durante la quale siamo riusciti a raccogliere prove inconfutabili dell'attività terroristica dei servizi speciali russi sul territorio ucraino».
La «velina» fatta circolare dall'intelligence ucraina ha colpito nel segno. L'altra notte le testate ai quattro angoli del globo riportavano ogni genere di dettaglio sulla morte di Arkady Babchenko, ucciso a colpi di arma da fuoco sulla porta del suo appartamento a Kiev, soccorso dalla moglie che l'aveva ritrovato nel corridoio di casa coperto di sangue, e spirato in ambulanza prima di raggiungere l'ospedale. «Sono sicuro che la macchina del totalitarismo russo non ha perdonato la sua onestà e le sue posizioni di principio», aveva scritto a caldo sul suo profilo Facebook il premier ucraino Volodymyr Groysman. Un modo «deplorevole di condurre gli affari internazionali», si era difeso il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov, aggiungendo che «i crimini sanguinosi e l'impunità totale sono diventati routine per il regime di Kiev». Fino ad arrivare a Putin che accusava gli ucraini di «fendere l'aria con dichiarazioni russofobe di fronte a un orribile omicidio piuttosto che lanciare un'inchiesta esaustiva e imparziale». A colpo di teatro avvenuto, Mosca replica con un «È ovvio che la storia doveva avere effetti propagandistici».
Non poteva mancare l'intervento dello stesso Babchenko, che ha ringraziato gli 007 di Kiev per avergli salvato la vita. «Chiedo scusa a tutti, e anche a mia moglie, per l'inferno che hanno dovuto sostenere, ma non c'era alternativa. L'operazione speciale è stata preparata per due mesi, io sono stato messo al corrente un mese fa. L'operazione ha portato alla cattura di un uomo». Nel febbraio del 2017, dopo aver aspramente criticato l'intervento di Putin in Siria, Babchenko era stato costretto ad abbandonare Mosca, riparando prima a Praga e poi a Kiev, preoccupato che in patria potesse essere ucciso. Entrando a far parte (suo malgrado) della lista dei 309 colleghi assassinati in Russia dal 1992 a oggi.
L'opinione pubblica internazionale ha iniziato a interessarsi al fenomeno dopo l'omicidio di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006.
La lista nera inizia con l'assassinio di Sergej Bogdanovskij, corrispondente della tv Ostankino, fino al «suicidio» di Maxim Borodin, giornalista investigativo di Ekaterinburg, precipitato dal quinto piano del palazzo dove abitava il 16 aprile. Due mesi prima aveva denunciato la presenza di foreign fighter russi in Siria operanti nelle file dell'esercito regolare siriano e che in un primo tempo il governo aveva tentato di negare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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