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Le incoerenze di Letta sul caso Mps

Le parole di Letta su Mps non scaldano: in assenza di mosse concrete, difficilmente i suoi impegni sul Monte produrranno effetti politici positivi

Le incoerenze di Letta sul caso Mps

Enrico Letta è sempre più in imbarazzo sul caso Monte dei Paschi di Siena e questo è sempre più percepibile mano a mano che si avvicina la decisiva data delle elezioni suppletive per la Camera in cui è candidato alla testa della coalizione di centrosinistra. Il Monte è inevitabilmente al centro del dibattito politico per la consustanzialità tra la politica a guida dem e il management controverso che ha guidato Mps negli anni del tracollo, per la discesa in campo di un leader nazionale come l'ex premier e per il coinvolgimento nella complessa trattativa per il passaggio di Rocca Salimbeni nel gruppo Unicredit di quel Pier Carlo Padoan che da ministro ha promosso l'ingresso pubblico del Monte, da politico dem si è candidato vincendo il collegio nella città senese e, lasciandolo libero, ha preso la via di Piazza Gae Aulenti divenendo presidente di Unicredit.

Un ginepraio complesso in cui Letta si è infilato in un test politico che oramai ha valenza nazionale e in cui l'ex premier deve ora districarsi. Letta è stato costretto dalle circostanze a parlare di dinamiche locali e a parlare di Mps, facendo dimenticare lo storico "il partito fa il partito, la banca fa la banca" con cui nel 2013 Pier Luigi Bersani cercò di fugare dal Nazareno le ombre dello scandalo del Monte. "Incontrerò le rappresentanze dei lavoratori nei prossimi giorni, noi vogliamo salvaguardare i livelli occupazionali, il marchio, l'unità del gruppo, crediamo che sia essenziale il rapporto con il territorio, con la città di Siena e con la Toscana", ha detto Letta nella giornata dell'8 settembre a margine di un evento elettorale a Siena. Dichiarazioni importanti ma a cui, nota Italia Oggi, non sono fatti seguire impegni concreti: che proposte hanno Letta e il Pd per valorizzare il Monte? Come intendono difendere i lavoratori per i quali si è tornato recentemente a parlare di esuberi massicci? Che ruolo può giocare quella regione Toscana in cui, non dimentichiamolo, il Pd è egemone?

Soprattutto, come può Letta intestarsi una trattativa autonoma su Mps in una fase in cui il dossier sul Monte è in capo al governo Draghi e a quel ministero del Tesoro che ne è principale azionista? A queste domande il segretario dem non risponde, forse perché la possibilità di una risposta definitiva semplicemente non esiste. Ma va sottolineata la sottile contraddizione tra le dichiarazioni critiche con cui da mesi Letta investe la Lega e Matteo Salvini accusandoli di destabilizzare il governo Draghi con iniziative autonome ritenute potenzialmente dannose per l'esecutivo e le sue recenti dichiarazioni che non lasciano presagire atteggiamenti diversi da quelli da lui stigmatizzati. E che rischiano di creare un surplus di aspettative destinato, in prospettiva, a restare insoddisfatto vista la complessità del dossier del Monte, su cui del resto il Pd non è privo di responsabilità.

Né Letta può rivendicare estraneità dagli errori del vecchio centrosinistra su Mps. Nel 2007, ad esempio, il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi e di cui Letta era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio fu cruciale con la sua approvazione alla manovra, chenelle sue intenzioni avrebbe dovuto favorire la costituzione del terzo gruppo bancario italiano, che chiuse la fallimentare operazione Mps-Antonveneta, nonostante il giudizio negativo degli investitori per una mossa che segnò l'inizio dell'ordalia di Rocca Salimbeni. Né si sono viste grandi discontinuità nella gestione del Monte nella breve stagione in cui Letta era inquilino di Palazzo Chigi.

Letta si è candidato in un territorio politicamente "caldo" per mandare un messaggio nazionale, ma ora rischia di restare invischiato nel dossier Monte che gli ha già procurato più di un imbarazzo. Il segretario dem ha dichiarato di ritenere "importante in questa fase di negoziazione sul futuro della banca che i lavoratori siano ascoltati e che siano coinvolte le rappresentanze locali", mettendosi di fatto di fronte alla necessità di trattare in prima persona un contesto cui è estraneo per storia politica personale e esperienze passate.

In una campagna elettorale in cui il segretario di uno dei maggiori partiti nazionali, candidandosi, ha nascosto il simbolo del suo partito e chiesto il sostegno del Movimento Cinque Stelle per difendere una storica roccaforte della Sinistra questo non appare il problema maggiore, del resto. A perdere, come sempre, sono Mps e i suoi lavoratori, sulla cui pelle viene condotto un gioco politico di piccolo cabotaggio che poco giova alla soluzione del più grave problema bancario italiano

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