Incognita Salvini per SuperMario. Ma Giorgetti fa da garante

Il ministro per lo Sviluppo: "Draghi deve ancora prendere confidenza con la politica, ma non ci vorrà molto". E assicura: se Matteo dovesse ricredersi, la Lega resterebbe fedele al governo

Incognita Salvini per SuperMario. Ma Giorgetti fa da garante

«Deve ancora prendere confidenza con i discorsi politici, ma non ci metterà molto...», spiega con un sorriso Giancarlo Giorgetti poco prima che Mario Draghi inizi la sua replica nell'aula della Camera. In un corridoio a pochi passi dal Transatlantico, il ministro dello Sviluppo economico - da sempre convinto sostenitore dell'ex presidente della Bce - si gode quella che è anche una sua personale vittoria. L'esponente della Lega non ha solo un dicastero di primo piano, ma è pure pronto a metterci la faccia, tanto che mercoledì in Senato era seduto alla destra del premier. Ed è lui, quasi certamente, che sta aiutando Draghi a districarsi nella sua nuova avventura politica, un mondo certamente meno rigido e più razionale delle stanze di Bankitalia o dei corridoi della Bce. Quantomeno, racconta Giorgetti, gli ha suggerito di fare «un passaggio» sull'immigrazione nella replica di due giorni fa alla Camera e «un passaggio» sullo sport in quella di ieri al Senato. Ma, probabilmente, ha anche condiviso la scelta di Draghi di mettere sin d'ora paletti chiari, rivolti evidentemente a un pezzo importante della Lega e del M5s. Europa e moneta unica, collocazione Atlantica e approccio critico a Russia e Cina, non possono essere in discussione. Con buona pace degli scettici.

Se il Movimento va perdendo pezzi importanti sia al Senato che alla Camera, il Carroccio ha invece un problema diverso e che ha un nome e un cognome: Matteo Salvini. La sua svolta europea e filo euro, non a caso, viene guardata con grande diffidenza sia a Palazzo Chigi che sul Colle. La domanda è sempre quella: visto che già arrivano segnali di insofferenza, quanto reggerà questo nuovo equilibrio? D'altra parte, oggi siamo ancora in luna di miele e già il leader della Lega macina presenze tv come se non ci fosse un domani. E arriva persino a dire che, quando si farà, il ponte sullo Stretto di Messina andrebbe chiamato «Ponte Draghi». Un'uscita, ironizzano molti deputati di maggioranza nel cortile di Montecitorio, «ai limiti del dileggio». «Lo sta trollando», la butta lì un leghista pratico di social.

D'altra parte, è del tutto evidente il disagio di un Salvini che ormai da giorni sta giocando su un terreno che non gli appartiene. E che intanto viene preso di mira da una parte dei suoi sostenitori sui social e si ritrova a perdere pezzi in Parlamento. A Bruxelles come a Roma. Ieri, per dire, l'eurodeputato Vincenzo Sofo e il deputato Gianluca Vinci hanno traslocato armi e bagagli dalla Lega a Fratelli d'Italia (come pure un consigliere regionale in Basilicata). Insomma, la Lega a respiro nazionale e ben ancorata nella destra-destra, fieramente antisovranista, inizia a fare i conti con il nuovo corso. Si va, di fatto, sgretolando il progetto salviniano e si ritorna alla Lega bossiana delle origini, quella del movimento garante delle istanze e degli interessi del Nord. Non è un caso che proprio Umberto Bossi - assente al voto per ragioni di salute - abbia comunque voluto far arrivare il suo sostegno a Draghi con un messaggio pubblico. Come non lo è il fatto che proprio Giorgetti, mercoledì in Senato, abbia mostrato al premier il suo cellulare con la notizia del sostegno del Senatùr riportata dal sito Dagospia.

Il tema, dunque, è quanto davvero potrà reggere Salvini indossando questi nuovi panni. Se riuscirà a cambiare passo o se, a un certo punto, proverà a smarcarsi. Magari, chissà, quando la pandemia imporrà altri lockdown o quando la perdita di consensi che già registrano i primi sondaggi finirà per essere più corposa. Dovesse davvero succedere, Giorgetti ha assicurato a Draghi che non sarebbe un problema.

Non tanto perché i numeri dicono che la Lega non è determinante negli equilibri della maggioranza, quanto perché il partito non seguirebbe Salvini in un eventuale strappo. Lombardia e Veneto, che sono politicamente e numericamente il cuore della Lega, non hanno infatti dubbi sul sostegno a Draghi.

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