È incubo patrimoniale. E Confindustria tuona: "Governo di carrozzoni"

Riammesso al voto l'emendamento Leu-Pd Bonomi attacca: "Così il Recovery farà flop"

È incubo patrimoniale. E Confindustria tuona: "Governo di carrozzoni"

La patrimoniale rientra nel dibattito sulla manovra. L'emendamento di Nicola Fratoianni (Leu) e Matteo Orfini (Pd), presentato in commissione Bilancio alla Camera, è stato riammesso all'esame dopo il ricorso dei firmatari contro l'esclusione dovuta a mancanza di coperture. Potrà dunque essere votato, vista «la difficoltà di effettuare una puntuale stima degli effetti di gettito», spiega la presidenza della commissione. La proposta prevede di sostituire Imu e imposta di bollo sui conti correnti con un'imposta patrimoniale (0,2% tra 500mila euro e un milione, 0,5% tra 1 e 5 milioni, 1% tra i 5 e i 50 e il 2% oltre i 50 milioni di euro).

L'esecutivo è corso subito a gettare acqua sul fuoco. La patrimoniale «non è nel programma del governo, né per gli immobili né per i patrimoni», ha ribadito il viceministro dell'Economia, Antonio Misiani. L'opposizione ha fatto di più. In commissione è stato ammesso l'emendamento di Sestino Giacomoni (Fi) che prevede la flat tax al 15% per tutti i redditi familiari al netto di deduzioni fiscali da 3mila euro in base al reddito. Da 0 a 35mila euro la deduzione è per tutti i membri del nucleo familiare; da 35mila a 50mila euro di reddito ne hanno diritto solo i carichi familiari; mentre a partire da 50mila euro si applica solo l'aliquota. «Patrimoniale contro flat tax: sta qui la diversità antropologica che ci divide dalla sinistra», ha chiosato Giacomoni. Ma il Pd, purtroppo, ha intenzione di proporre una riforma fiscale basata sul modello tedesco. «La tassazione aumenta con una progressività continua in base al reddito, da 0 fino al 44%», ha spiegato il responsabile economico Pd, Emanuele Felice, illustrando il paradigma di microvariazioni delle aliquote che piace al ministro dell'Economia Gualtieri.

Eppure, il fisco è già pesante. L'Italia è al quinto posto tra i Paesi industrializzati per l'incidenza della tassazione come emerge dal rapporto Revenue Statistics dell'Ocse. Nel 2019 la pressione fiscale si è attestata al 42,4% del Pil, in aumento dal 41,9% dell'anno precedente e contro una media Ocse del 33,8%. L'Italia, da settima nel 2018, è avanzata di due posizioni, restando dietro solo alla Danimarca (46,3%), Francia (45,4%), Svezia e Belgio (entrambi al 42,9%), tutti Paesi in cui la qualità dei servizi pubblici è, però, superiore. E come se non bastasse, l'Istat ha rivisto al ribasso le stime del Pil di 0,6 punti percentuali per 2020 e 2021, tagliandole rispettivamente al -8,9% e al +4.

Anche per questo motivo il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha rinnovato le proprie critiche alla politica economica del governo.

La statalizzazione dell'economia «purtroppo è quello che sta succedendo», criticando l'ingresso nell'Ilva, già costata «migliaia di miliardi di vecchie lire ai contribuenti per tenere in piedi un carrozzone». Bonomi è sconsolato. «È un Paese che non ha metodo, che tenta di affrontare un'occasione storica come il Recovery Fund, senza ascoltare nessuno, eppure la ripresa di questo Paese passerà dalle imprese».

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