
Per capire quanto sia alta la posta in gioco intorno all'inchiesta milanese sull'Urbanistica bastava trovarsi ieri mattina alle 11 nei corridoi della Procura: dove si materializza l'ex ministro della Giustizia Paola Severino, che adesso assiste la maggiore delle imprese di costruzioni coinvolta dalle indagini, la Coima di Manfredi Catella. La Severino è attesa da Tiziana Siciliano, il procuratore aggiunto che coordina le indagini. Restano dentro un'ora filata. Un po' tanto, per quella che la Severino definisce "una visita di cortesia". Più probabile che sia stato un modo per tastare il terreno sul destino dell'azienda, attualmente sotto pressione da parte di banche e finanziatori che temono che le mezze dimissioni di Catella non bastino a tenere Coima fuori dalla bufera: soprattutto se il giudice preliminare Mattia Fiorentini decidesse di mettere Catella ai domiciliari come continua a chiedere la Procura, evidentemente non molto convinta dalla lunga memoria difensiva dell'amministratore delegato.
Da ieri mattina, il giudice Fiorentini è alle prese con una decisione che non si annuncia facile. In un comunicato il presidente del tribunale di Milano Fabio Roia ha fatto sapere che "in caso di accoglimento, l'ordinanza sarà eseguita dalla Procura della Repubblica e solo in quel momento non sarà più coperta da segreto": modo elegante per dire che Catella e gli altri cinque indagati, se le cose vanno male, lo scopriranno quando arriverà la Guardia di finanza ad arrestarli. E che da quel momento le accuse nei loro confronti potranno finire sui giornali.
È una prospettiva che i sei indagati stanno cercando in ogni modo di scongiurare, con gli interrogatori di mercoledì e con le memorie difensive consegnate al giudice. Linea comune: negare tutto, rivendicare correttezza e trasparenza. Anche l'unico che ha taciuto davanti al giudice, l'ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni, ha consegnato un documento assai critico verso le tesi della Procura, colpevole di "enfatizzare il giudizio morale sugli indagati", come quando li accusa di "crescente avidità"; e di chiedere il loro arresto (per Marinoni la custodia in carcere) senza alcun elemento concreto: "È del tutto evidente che il pm sovrappone il ruolo della pena definitiva con quello dell'esigenza cautelare, che non è esprimere lo sdegno dell'opinione pubblica". L'avvocato di Marinoni, Eugenio Bono, parla di "sproporzionata ampiezza dell'indagine, che è stata impostata come un processo alla speculazione edilizia nell'intera città di Milano" più che su reati specifici.
Stessa linea per Alessandro Scandurra, architetto e membro dal 2018 della Commissione paesaggio. Difeso dall'avvocato Giacomo Lunghini, Scandurra sostiene di avere accettato l'incarico "per mettere la propria esperienza e sensibilità al servizio di una idea alta di paesaggio". Ammette di "avere commesso degli errori magari nella predisposizione e invio delle comunicazioni al Comune dei propri lavori o magari per non essersi astenuto in alcune sedute", ovvero gli elementi del conflitto di interessi che la Procura gli attribuisce. Ma il modulo che gli venne fatto firmare era sbagliato, e non costringeva a denunciare tutti i casi di conflitto: "Sta di fatto che ai membri della Commissione è stato dato quel documento", e non possono rispondere loro degli errori della burocrazia comunale nella "ragnatela normativa".
Ma non è solo un problema di norme confuse: Scandurra sostiene che è semplicemente falso quanto i pm gli attribuiscono nella richiesta di arresto, ovvero di avere tenuto celati gli incarichi ricevuti da Catella per il Villaggio Olimpico. Un "abbaglio" bello e buono: l'unico progetto affidatogli da Catella era per un palazzo in viale Sarca, dall'altra parte della città.