Cronache

Influencer sì, ma dottore Un corso di laurea per le future star del web

Dall'ateneo eCampus un percorso triennale per imitare la Ferragni. Ma qualcuno s'indigna

Influencer sì, ma dottore Un corso di laurea per le future star del web

Dottoressa Ferragni, dottor CiccioGamer89.

Nasce un corso di laurea per influencer e la notizia si presta a un mucchio di interpretazioni. Negative, positive, boh.

Intanto spieghiamo che cos'è un influencer. Si tratta di una persona che, godendo di un grande seguito sui social network e in particolare su Instagram e su Youtube (come poi questo consenso sia stato guadagnato è spesso materia inespugnabile per intelligenze medie come la nostra) viene utilizzata dalle aziende come testimonial per pubblicizzare alcuni prodotti e per accostarli a un determinato stile di vita considerato evidentemente desiderabile dai loro follower. Un'attività ovviamente pagata, spesso così lautamente da trasformare il (o la) blogger in una star milionaria. Come Chiara Ferragni, la vera affarista di casa, altro che il rapper Fedez, operaio specializzato della fama.

E il corso di laurea? È quello escogitato dall'università telematica eCampus di Novedrate, nel Comasco, che per sua ragione sociale è propensa a introdurre nella sua proposta formativa temi e indirizzi molto contemporanei. In questo caso parliamo di un «percorso» triennale della laurea in Scienze della comunicazione, che fa capo alla facoltà di Giurisprudenza. Nel primo anno le materie insegnate sono Estetica della comunicazione (12 crediti formativi), Informatica (6), Organizzazione aziendale (6), Semiotica e filosofia dei linguaggi (12), Sociologia dei processi economici (12) e Tecnica, storia e linguaggi dei mezzi audiovisivi (12). Insomma, si vola altino. E negli anni successivi l'asticella si alza ancora, e si parla anche di Diritto dell'informazione e della comunicazione, di Metodologia della ricerca sociale, di Psicologia della moda, di Lettura dell'immagine. Tra gli insegnamenti opzionali ci sono anche Diritto privato, Psicologia del lavoro (del lavoro?, trasecolerà qualcuno), Urban e territorial marketing (qualsiasi cosa voglia dire, ma ci fidiamo), Semiotica del testo. Con dispense, esami, voti e tutto il resto, ça va sans dire.

Altro che Ferragni, altro che sneaker e cappelli, eyeliner e prosciutti. Qui siamo in zona Umberto Eco con una spruzzata di Massimo Gramellini e un pizzico di Diego Fusaro. Siamo davvero certi che il ventenne impallinato di «games» che ha un milione di follower a cui spiega tutti i trucchi per gli «sparatutto» e la diciottenne con una spiccata capacità di abbinare una giacca vintage a una t-shirt punk e che è riuscits con un po' di grazia e di parlantina sciolta a conquistare centinaia di migliaia di coetanee per cui è assai meglio di Greta, sicuri che questi due personaggi abbiano bisogno di un diploma di laurea da appendere in cameretta tra il poster di Irama e quello di Cattelan (Alessandro, non Maurizio)? Probabilmente no.

La verità è che questo è uno corso di laurea in Comunicazione a cui i furbacchioni di eCampus hanno appiccicato lo sticker di «influencer» come specchietto per allodole digitali. Rischia di richiamare centinaia di ragazzini smanettoni e benestanti (il corso di laurea costa 3900 euro, più 250 di immatricolazione, più 140 di tasse annuali regionali, più eventuali tutorial individuali e alloggio al college) convinti di diventare delle star sul web.

E questo per esaurire il repertorio dei luoghi e delle semplificazioni che noi giornalisti «veri» amiamo pettinare quando si parla di una categoria che noi riteniamo antropologicamente inferiore, un po' come gli architetti con i geometri, salvo che spesso poi questi ultimi lavorano molto di più e meglio pagati. Poi dobbiamo prendere atto che l'attività di influencer esiste e va rispettata. Se aziende importanti ricorrono agli youtuber per veicolare le loro merci, avranno fatto i loro calcoli e chi siamo noi per metterne in dubbio la potenza di fuoco? Del resto il mercato è mercato, le sue acque scorrono naturalmente e non saranno le anime belle con la loro superiorità morale ad arginarle. Quindi prendiamo atto: il mondo è degli influencer. Sono loro che spiostano le masse, non più i vecchi scribacchini che rimpiangono la Lettera22. Quindi tanto vale dar loro la possibilità di avere una formazione accademica, con solide basi nozionistiche e infarinature di etica e semiotica.

Poi magari arriverà anche una regolamentazione.

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