La migliore l'ha scritta Vittorio Sgarbi, che ha così twittato: «Ingroia era in Francia per la trattativa Nero d'Avola/Cabernet Sauvignon». Che alla fine - par di capire - secondo il critico d'arte avrebbe molto più senso di quella tra lo stato e la Mafia a cui l'ex magistrato ha dedicato un bel pezzo della sua carriera.
Di Ingroia Antonio da pochi giorni sessantenne (auguri. Anzi cin cin) si è tornati a parlare qualche giorno fa e tutto sommato ne avremmo fatto anche a meno. L'ultima volta che aveva dato sue notizie era quando aveva fallito l'ennesimo assalto elettorale con la Lista del popolo per la Costituzione, i cui frontmen erano lui e Giulietto Chiesa e che prese una percentuale da principio attivo nel bugiardino (lo zerovirgolazerodue per cento) alle politiche del 2018. Quello che si è riaffacciato alle cronache è un Ingroia santo bevitore. Cacciato da un aereo al Charles de Gaulle di Parigi perché ubriaco (dice Air France) o per una banale litigata (dice lui).
Lui che in un video reso noto ieri in cui siede sulle rive di un fiume sudamericano con la moglie Giselle si autoproclama vittima di quella «disinformazione che regna sovrana ormai in Italia». Le cose, secondo lui, sarebbero andate così: avrebbe avuto un alterco con uno steward per una sciocca questione di posti. Il comandante del volo avrebbe «ovviamente dato ragione al membro dei suo equipaggio» e lo avrebbe fatto scendere dall'aereo. E la presunta ubriachezza su cui tutti i giornali italiani hanno fatto il titolo? «Il comandante - spiega Ingroia nel video - mi ha chiesto: lei ha bevuto prima di salire sull'aereo? Io avevo bevuto due bicchieri di vino a pranzo...». L'ex gestore della legge non poteva certo mentire alla domanda del pubblico ufficiale. In vino veritas, poi.
La compagnia di bandiera francese, interpellata, non si sbilancia per ragioni di privacy, ma chiarisce: «Non rifiutiamo, senza una valido motivo, a bordo dei nostri aerei passeggeri che sono in possesso di un biglietto».
Ma Ingroia è convinto: sarebbe stato vittima di un abuso. Come Julian Assange, il controverso giornalista e attivista australiano al centro di una spy story che coinvolge mezzo mondo. Assange può considerato uno spione senza scrupoli, un pericoloso cialtrone, oppure un eroe della libertà di pensiero, ma si trova agli arresti a Londra per avere rivelato centinaia di migliaia di documenti secretati sui potenti della Terra e sulle guerre americane; Ingroia si paragona più volte a lui per una gazzarra sul drammatico dilemma etico: corridoio o finestrino? Da Wikileaks a Wineleaks il passo è breve, come quella dal bicchiere alla bocca.
Ma che volete, alla fine il povero Ingroia ci sta quasi simpatico (ehi, abbiamo scritto quasi). Chiunque sia costretto a giustificarsi con un video autoprodotto in cui il vento disturba le voci e la camera si affloscia con passare dei minuti, merita ogni umano sostegno. Chiunque debba render conto di due calici di vino a pranzo in un aeroporto è vittima di un'ingiustizia, a meno che non si metta alla cloche di comando del velivolo.
Però avremmo un paio di domande per Ingroia: quei bicchieri erano davvero solo due? E che vino era? Non sarà mica uno di quelli che beve lo Champagne con la tarte tatin?
Ingroia pare uno di quei personaggi da fumetto che si caccia sempre nei guai e non gliene va mai bene una. Fonda un partito, gli trova un nome con il generatore automatico di luoghi comuni di sinistra, e riesce a non essere votato nemmeno da zia Concettina. Si fa spedire dall'Onu in Guatemala per indagare sui narcos e dopo due mesi rinuncia perché ha altro da fare, facendo una gaffe internazionale. Viene nominato commissario della società Sicilia e Servizi e finisce indagato per peculato.
Fossimo in lui, due bicchieri di Amarone ce li faremmo anche noi.
Anche tre.
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