Politica

Il "prof" di lotta e di talk show che boccia tutti tranne se stesso

Lo storico dell'arte fiorentino sogna un'Italia sotto teca, un governo d'ultra sinistra e un posto fisso dalla Gruber

Il "prof" di lotta e di talk show che boccia tutti tranne se stesso

Tutto cominciò quando Lilli Gruber provò a convincere gli italiani che, oltre a quella di Beppe Severgnini e Rula Jebreal, l'opinione di Tomaso Montanari, storico dell'arte televisivo, fosse meritevole di essere ascoltata. Il talk show, del resto, è soltanto la declinazione più spettacolare delle mostre, dal latino monstrare, derivazione di monstrum: con senso di biasimo, riferito a cose che sarebbe conveniente tenere nascoste.

Critico molto preparato e intellettuale troppo politicizzato, Tomaso Montanari da Firenze e di sinistra, in direzione ostinata e contraria anche al Pd - non ha mai tenuto nascoste le proprie avversioni. Cose che non sopporta: Matteo Renzi, i sindaci della sua città (tutti), i turbo-liberisti, ma anche i liberali, Matteo Salvini (però un po' meno di Matteo Renzi), l'arte contemporanea («La libertà degli artisti contemporanei coincide con la loro massima irrilevanza»), Renzi, i ragni pelosi, mettersi la cravatta, il fatto che Vittorio Sgarbi venda più di lui, Renzi, la riduzione di Firenze al suo brand, l'idea che anche chi non ha sostenuto una biennalizzazione di Storia dell'architettura e un esame di Museologia possa passeggiare in infradito per le città d'arte, le infradito, Renzi, Renzi in infradito e i politici in generale. «Non è che ai politici italiani non interessi la cultura. È che sono molto ignoranti». Quando il qualunquismo si salda al populismo. Bacioni.

A Tomaso Montanari con una «M» in meno e un surplus di pubblicazioni la Cultura interessa (in realtà solo Bernini e il Barocco...), ma la politica di più. Fra un trompe-l'oeil di Pietro da Cortona e l'engagement, meglio un posto nella Commissione per la riforma del Ministero per i Beni Culturali. E fra i ritratti di Velázquez e l'etica politica, perché non accettare dal ministro Franceschini - dopo aver sfiorato la querela - la presidenza della Fondazione Richard Ginori?

Una volta di sé ha detto: «Sono antipatico e inopportuno». Come dargli torto?

Sempre dalla parte della ragione come tutti i migliori intellò (bistecca fiorentina, ribollita, lampredotto, cantucci e crema della Gauche caviar, ottima all'Enoteca Pinchiorri); di indole modesta («Ogni volta che leggo Dante non posso dimenticare di essere stato battezzato nello stesso battistero»); riservato (solo una cosa adora più degli abissi del Tiepolo: essere ospite a Otto e mezzo); odiatore zdanoviano di Salvini e della Meloni (anche nell'arte la destra è mediocre: tutti i geni, da Michelangelo in giù, sono mancini); già ordinario di Storia dell'arte all'Università di Napoli, di Roma Tor Vergata e della Tuscia, con persino una laurea honoris causa alla Leopolda in Antirenzismo (i due non si sopportano da quando studiavano nello stesso liceo a Firenze, poi ai tempi della Giunta Rossi l'antipatia divenne astio: il governatore aveva promesso a Montanari l'assessorato alla Cultura, ma Renzi mise il veto... può capitare...), e convinto sostenitore della specializzazione professionale: nella vita si fa una sola cosa, ma fatta bene: «Basta con questa multidisciplinarietà!» (è docente universitario, consulente ministeriale, opinionista, saggista, editorialista, critico e autore televisivo), Tomaso Montanari è da qualche giorno anche il nuovo rettore dell'Università per Stranieri di Siena. Sbaragliando le squadracce liberali infiltratesi nell'ateneo, è stato eletto con percentuali campane: l'87% dei voti. Ma c'è da dire che era l'unico candidato... A sinistra della sinistra adorano i plebisciti. Nelle prime dichiarazioni, Montanari ha affermato: «Saremo nemici delle diseguaglianze, rispettando le differenze». Che, a pensarci, è una cosa che negli ultimi duecento anni hanno ripetuto in tanti, da Karl Marx ai socialisti utopisti, dalla Destra sociale a Salvini. Multiculturalismo in salsa sovranista.

La domanda è: Montanari è un Fusaro che ce l'ha fatta o una Paola Taverna che non è riuscita a entrare in Parlamento?

A proposito di democrazia, il progetto politico del «Prof» è una squadra di governo composta da: Greta Thunberg all'Ambiente, Marta Fana all'Economia, Elly Schlein al Gender, Andrea Crisanti a Sanita&Lockdown, Davigo alla Custodia cautelare, Carola Rakete alla Marina mercantile, Lilli Gruber alle Comunicazioni, Ali Khamenei ai Rapporti con il Vaticano, Tomaso Montanari ai Beni culturali, Kim Jong-un agli Esteri. E il Canaro della Magliana? Del resto, come ha detto una volta: «Sono Amici miei». Come se fosse Antani.

Allievo morale dell'ultra conservatore Salvatore Settis, amico della compianta zarina Giulia Maria Crespi (faticò a entrare nel suo salotto, ma poi ci litigò per un Burri), già membro del consiglio nazionale di «Italia Nostra», formidabile polemista quando Chiara Ferragni trasformò gli Uffizi nello «sfondo di un'influencer», inflessibile sostenitore del NO, qualsiasi sia la domanda («Mi si NoTav di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?»), feroce pamphlettista versus le mostre blockbuster («Ma perché la gente va a vedere gli Impressionisti e Caravaggio?! Stiano a casa a guardare la Gruber!») e furioso Savonarola contro la Firenze dell'arte svenduta al merchandising, Montanari sogna un'Italia sotto teca. Guardare e non toccare. Soprattutto il Colosseo. Se esiste una nemesi, Montanari nella prossima vita organizzerà visite guidate nella Firenze di Dario Nardella con indosso un grembiule da cucina con stampato sopra il pisello del David. «Ars longa, vita brevis».

Echo-chamber di fanatismo e intransigenza, Montanari è dotato di un tempismo esemplare. Quando il premier Draghi accennò timidamente alla riapertura del Paese, rispose: «È il nostro Bolsonaro». Quando il generale Figliuolo stava compiendo la più grande campagna vaccinale della storia, lo ha fucilato: «Quel tizio in mimetica, loquace ma inconcludente». Quando Renzi ha avanzato legittimi dubbi sulla possibilità che il DdlZan fosse approvato, ha scritto: «Il tradimento saudita sul #DdlZan è una di quelle azioni imperdonabili che sfigurano per sempre il volto morale di chi le compie: nessuna cinica convenienza politica potrà cancellarlo», e bisogna stare a attenti a studiare il barocco tutta la vita, che poi si finisce per scrivere frasi così (e a mettersi le Birkenstock: l'etica non dovrebbe essere inscindibile dall'estetica?). E infine, quando Michela Murgia, giorni fa, si è schierata con il terrorismo palestinese, senza se e senza Hamas, Tomaso twittò: «Le voglio bene. E oggi è uno di quei giorni in cui dirlo è bello». Il Signore di Gaza, Yahya Sinwar, ha lasciato un «like». Free Palestine!

Ho bisogno di un Plasil.

Qualcuno ha fatto notare che se gli intellettuali - a sinistra - sono come Montanari, non c'è da stupirsi che molti vedano Fedez come il leader del Pd post Letta. E comunque, quando Renzi, quindici giorni fa, ha postato «Che al posto di Arcuri, Bonafede, Costa, Boccia e Provenzano ci siano persone più capaci come Figliuolo, Cartabia, Cingolani, Gelmini e Carfagna mi sembra positivo», Montanari voleva andare in esilio al Louvre.

Ma poi: Montanari di tutto cioè è la causa o l'effetto? Vabbè, ci sono cose peggiori.

Tipo? «Mah, essere studenti dell'Università per Stranieri di Siena».

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