Intenerivano e inquietavano. Il fascino eterno del Doppio

Inseparabili e indistinguibili fino alla fine. La letteratura è piena di gemelli che sono due metà della stessa persona

Intenerivano e inquietavano. Il fascino eterno del Doppio
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Chi è giovane avrà forse sentito parlare, da papà o dal nonno, delle favolose gemelle Alice ed Helen Kessler. Chi giovane non è più non potrà non provare un po' di sconcerto alla notizia della loro morte. Sono morte insieme, come l'ultimo passo di una danza da sempre sincronizzata, perfetta fin da principio, fin dal concepimento. Gemelle monozigote, alte un metro e settantacinque, che per i primi Anni Sessanta erano quasi un'esagerazione, un marchio di esotismo per un'Italia la cui altezza media era inferiore al metro e settanta, uomini inclusi.

Alice ed Helen furono un fenomeno televisivo unico. La loro specialità era quella di aprire gli spettacoli, le gemelle dovevano spalancare un mondo diverso, pieno di cantanti, ballerini, comici, orchestre e paillettes. Dopo tante sconfitte e tanta solitudine l'Italia doveva rinascere, cantanti anglofoni, ritmi neri, danze scatenate, luci americane. "Hallo boys" diceva la loro canzone più celebre, il Dadaumpa "traversando tutto l'Illinois, valicando il Tennessee Senza scalo fino a qui". No, non venivano dall'Illinois, ma da una cittadina della Sassonia, al tempo Germania Orientale, nel cosiddetto blocco comunista. Nate nel 1936, avevano passato nove anni di una guerra dal finale spaventoso. Erano belle ma fredde, intoccabili: il loro "hello boys" non ammiccava a nulla, come era costume in una Rai ben salda nei suoi valori cattolici: guardare ma non toccare, ammirare ma non desiderare, la donna dello schermo è donna d'altri. Le Gemelle erano belle, avevano gambe lunghe ma nulla della sensualità italiana, che spopolava nelle commedie neorealiste e nei romanzi. Cantavano in un italiano appena sporcato dal tedesco, con il fascino speciale di ciò che non si può raggiungere. La loro bellezza evocava un mondo diverso da quello di tutti i giorni. "La notte è piccola per noi" cantavano "troppo piccolina", oppure "Quelli belli come noi, che sono tanti, a cantarla tutto il giorno vanno avanti". Davanti allo schermo sedevano famiglie provate dal lavoro quotidiano, con poche canzoni da cantare e una notte davanti in cui si sperava di poter dormire. Eppure era necessario che il mondo non apparisse uguale alla nostra vita. Non so se, nell'età dei selfie, sia ancora facile capire un mondo affamato di diversità, di novità, di bellezza da guardare.

C'è però qualcosa che inquieta nella perfezione della loro danza, nella perfetta padronanza delle loro voci: inquieta e affascina e intenerisce come tutto ciò che appartiene alla vita. La loro sorellanza, anzi: gemellanza. I loro movimenti così perfetti sembravano non studiati, ma nativi, come se le due ragazze non fossero che le due metà di un solo individuo. In loro risorgeva, apparentemente festoso, il fascino eterno del Doppio, tema centrale di tutta la cultura occidentale, popolata fin dall'antichità di gemelli, sosia, travestimenti, uomini e donne allo specchio, da Biancaneve all'esistenzialismo, con la domanda che risorge sempre: Chi sono io?, io sono davvero io?

Tutti ci si domandava: quale delle due è Alice?, quale è Helen? A lungo andare, qualche differenza si fece strada: una delle due aveva lo sguardo più dolce, più tenero, ma quale? E se si fossero scambiate anche questo ruolo?

Unite da qualcosa che precede la loro stessa nascita, adesso ci hanno lasciato: insieme, come insieme hanno vissuto. Cosa Alice abbia visto in Helen in quell'istante, cosa Helen in Alice nessuno può pretendere di capire.

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