
Guy Aviad è uno storico, ex membro Idf, esperto in questioni militari e fra i principali esperti in movimenti terroristici palestinesi, in particolare Hamas, su cui ha scritto un saggio. Il gruppo accetterà mai il piano Trump concordato con Netanyahu?
"Non penso, ci sono molti ostacoli. Trump e Netanyahu hanno posto a Hamas condizioni che non può accettare. A cominciare dal disarmo, con il quale Hamas smetterebbe di essere un movimento di resistenza, un cambiamento radicale del suo dna. Hamas non accetterà mai perché considera le armi uno strumento di liberazione nazionale".
Cos'altro non può digerire Hamas?
"Nei due anni di guerra, Hamas ha sempre chiesto il ritiro completo dell'esercito israeliano da Gaza, invece il piano Trump parla di ritiro parziale e, dalle mappe, si comprende che Israele intende tenere il corridoio Philadelphia e la presenza in un perimetro di sicurezza attorno a Gaza, anche questo inaccettabile per il gruppo palestinese. Ma non è tutto. Hamas vuole garanzie reali che, dopo il rilascio degli ostaggi, i suoi leader non saranno toccati né a Gaza né all'estero. Non vuole che accada quel che è successo con Hezbollah in Libano".
Altre questioni irricevibili per Hamas?
"Il piano parla del rilascio di 250 ergastolani palestinesi in cambio dei 48 ostaggi israeliani. Se Hamas accettasse, in carcere resterebbero 50 ergastolani, proprio quelli che Hamas vorrebbe invece indietro, perché li ritiene un simbolo del gruppo. C'è poi la questione delle 72 ore".
Non bastano 72 ore per restituire gli ostaggi, vivi e morti?
"Credo sia impossibile. Due settimane fa è stato distrutto un palazzo di 30 piani a Gaza City. Hamas ha ammesso che sotto quell'edificio c'era un tunnel di trenta metri e che ci vorrà più di un mese per liberare l'area dalle macerie e recuperare i corpi. Quelle 72 ore sono troppo poche".
Potremmo essere all'inizio di una nuova trattativa?
"Il premier del Qatar sostiene che l'intesa Usa-Israele sia un primo passo. Ma io vedo ancora profonde distanze. Nel piano, se la si guarda dal punto di vista di Hamas, mancano due cose fondamentali: il ritiro totale dell'Idf e la soluzione a due Stati".
Ma non è questa l'ultima chance per Hamas?
"Potrebbe esserlo. Ma non dimentichiamo come ragiona il gruppo. La sua filosofia è nota. Dicono di preferire una morte dignitosa che vivere nell'umiliazione. Non si arrenderanno".
Hamas sta vincendo o perdendo questa guerra?
"Ha subìto molti colpi, ha perso i suoi capi militari, ma è ancora in piedi, che combatte dopo due anni. Non dimentichiamo che sta lottando contro l'esercito più sofisticato del Medioriente e fra i più efficienti al mondo. Ha ancora in mano gli ostaggi e mantiene non solo Gaza City ma anche la città di Deir al-Balah, nel centro della Striscia, e il campo profughi di Nuseirat".
Chi guida il gruppo? Qualcosa è cambiato?
"L'apparato militare combatte ancora a Gaza, guidato da Izz al-din al-Haddad e Ra'ad Sa'ad. L'ala politica si trova invece all'estero, prevalentemente fra Doha, in Qatar, dove c'è una leadership collettiva di 5 persone, e Istanbul, in Turchia".
I palestinesi vogliono davvero uno Stato o si tratta più di un sogno della comunità internazionale?
"Lo vogliono, chiedono la liberazione della nazione. Anche perché in Cisgiordania vivono in durissime condizioni, fra troppe barriere, l'insicurezza causata dalla violenza dei coloni. Voglio ricordare che, dopo il 7 ottobre, Israele ha chiuso i cancelli e non ha permesso l'ingresso ai palestinesi, nemmeno a piedi. La situazione è drammatica anche a causa della disoccupazione".
Se la guerra finirà con la sconfitta di Hamas, l'Anp sarà in grado di prendere in mano il futuro politico dei palestinesi, anche se Israele vuole escluderla?
"Non credo sia pronta.
È troppo debole, sia contro il terrorismo interno che contro i coloni israeliani violenti. Abu Mazen è inoltre troppo vecchio, ha 90 anni. E semmai ci fossero libere elezioni in Cisgiordania domani, sappiamo con certezza che sarebbe Hamas a vincerle".