Roberto FabbriForse non ci credeva veramente nemmeno lui. Insomma, che Julian Assange si illudesse di abbandonare l'ambasciata londinese dell'Ecuador, sua prigione dorata da ormai quasi quattro anni, solo perché l'Onu era sul punto di dichiarare illegale la sua detenzione, non pare realistico. Ormai certamente provatissimo dai suoi prolungati arresti domiciliari extraterritoriali, il fondatore di Wikileaks - inseguito dalla giustizia svedese per una storia di molestie sessuali, ma soprattutto da quella degli Stati Uniti, dove ha il sacro terrore di essere estradato per l'assai più seria questione della pubblicazione di materiale riservato - aveva semmai deciso di giocarsi un'abile partita mediatica, che però non ha sortito l'effetto sperato: se vorrà evitare l'arresto da parte della polizia britannica gli toccherà restare ospite degli ecuadoriani, come avviene ormai dal 2012.Vediamo i fatti. Assange aveva chiesto tempo fa un arbitrato Onu sul suo caso, e il gruppo di lavoro doveva fornire il richiesto parere ieri mattina, come poi è avvenuto. Con prevedibile puntualità, la sera prima, Il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño si era detto «preoccupato» per la salute di Assange, che si starebbe deteriorando «a causa dello stress estremo» cui è sottoposto. Non che si trattasse di questione di vita o di morte, in verità: Patiño ha denunciato «un problema a una spalla» per il quale alcune settimane fa «un medico ha chiesto esami più approfonditi». Peccato che il governo britannico non abbia condiviso la preoccupazione dell'Ecuador e non abbia accettato di porre Assange sotto la custodia del Paese sudamericano. Una strategia, peraltro deboluccia, per sostenere il vero messaggio, affidato all'immancabile Twitter: «Se domani perderò il mio caso legale contro la Svezia e la Gran Bretagna, abbandonerò il giorno stesso la sede diplomatica dell'Ecuador e accetterò l'arresto della polizia britannica».Parole molto a effetto, che hanno fatto dire a qualche mezzo d'informazione che «il caso Assange sarebbe giunto a una svolta». In realtà il vero messaggio del 44enne fondatore di Wikileaks era racchiuso nella frase successiva: «In caso contrario, mi aspetto la restituzione immediata del passaporto e lo stop a ulteriori tentativi di arrestarmi».Il famoso hacker australiano doveva avere pochi dubbi sull'esito dei lavori del comitato Onu impegnato sul suo caso. Che infatti, ieri mattina, ha sciolto la riserva pronunciandosi per la «detenzione illegale» di Julian Assange. A quel punto il paladino della pubblicizzazione a senso unico di materiale scottante per la sicurezza nazionale americana e non solo ha ritenuto si aver segnato un importante punto a suo favore. E forse è proprio così, se si considera che da oggi Assange potrà sostenere di avere le Nazioni Unite dalla sua parte.
Poco importa che, come ampiamente previsto, il premier britannico David Cameron non si sia spostato di un millimetro dalle proprie note posizioni sulla vicenda, chiarendo che a giudizio del suo governo la decisione del comitato Onu a favore di Assange non è legalmente vincolante e che pertanto se il fondatore di Wikileaks uscirà dall'ambasciata dell'Ecuador a Londra sarà arrestato.Altrettanto chiara è stata la procura svedese, secondo cui la presa di posizione dell'Onu sul caso Assange non ha alcun impatto formale sull'indagine in corso. La partita mediatica continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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