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"Io, tifoso ebreo nelle curve dell'odio. Ma la passione da stadio è irrazionale"

L'esponente della comunità: «Sanno chi sono, non ho problemi»

"Io, tifoso ebreo nelle curve dell'odio. Ma la passione da stadio è irrazionale"

Filippo Jarach, ultrà interista, esponente della comunità ebraica e consigliere municipale di Forza Italia, come considera gli artefici degli adesivi col volto di Anna Frank?

«Pochi isolati deficienti che hanno niente a che vedere con le curve, almeno quelle che io conosco. Il mondo degli ultras è in gran parte sano ma vedo che purtroppo si tende a generalizzare».

Cosa c'è di buono nel mondo del tifo organizzato?

«Da quando avevo 15 anni, io ho assistito a centinaia o migliaia di partite, neanche lo so. Oggi ne ho 45. Di sano c'è lo spirito di aggregazione, di cooperazione. La forza di quel mondo, la curva, è che tutti siamo uguali. Io consigliere, un dottore, un ragazzo di periferia, un operaio che lavora alla catena di montaggio. La Nord per esempio è considerata curva di estrema destra, anche se ci sono anche quelli dei centri sociali. Tutti sanno chi sono e tutti sanno qual è la mia religione».

Le è capitato di essere vittima di insulti od ostilità in curva?

«In quanto ebreo non mi è mai capitato. E io non mi nascondo. E la politica per me è una passione. Ci sono persone lontanissime dai miei mondi ma non mi interessa sapere che lavoro facciano o cosa votino. Non me ne frega niente. E non faccio politica in curva, non ho mai cercato voti in curva. La passione per la mia squadra è incondizionato e irrazionale, dopo la mia famiglia, dopo i miei figli, viene l'Inter».

Una passione irrazionale per alcuni può diventare fonte di irrazionali motivi di odio, no?

«No, nel 99% dei casi no. Esiste certo il normale sfottò, l'insulto benevolo fra le varie tifoserie, roba da Don Camillo e Peppone, Gino Bartali e Coppi. Normale contrapposizione. Sono contro le sanzioni per i cori sulle città».

Ci sono stati spesso scontri in passato, incidenti e morti.

«Io parlo di Milano, che conosco da 30 anni. Parlo di iniziative di solidarietà e aiuto per i terremotati per esempio. Cose che nessuno racconta. Troppo comodo fare delle curve il capro espiatorio della violenza sociale. Io sono stato a Napoli in pullman e ora andrò a Verona, spesso porto i miei figli, cui ho trasmesso questa passione. Non sono pazzo e se fosse pericoloso certo non li porterei».

Dice sfottò e insulto benevolo, ma il limite allora qual è?

«Il gesto violento o atto a far male. Le curve non sono il rifugio di sbandati e criminali».

Cosa fare dunque per l'odio?

«Educare, informare. Non demonizzare e non generalizzare. Non punire. Gli estremismi si combattono così, non con punizioni che guardano da una parte sola.

Lo penso anche della legge proposta da Lele Fiano e lui lo sa».

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