
"Cosa posso dire? Che ho avuto giustizia da vivo. Se la pallottola 357 mi fosse entrata un millimetro più in alto, ci avrei lasciato la pelle. E sul mio cadavere ne avrebbero dette di tutti i colori. Invece sono ancora qui. E posso raccontare come questi signori si sono presi la Curva Sud".
Il cranio di Enzo Anghinelli racconta meglio di molte parole quello che gli è successo. Una profonda cicatrice lo attraversa da parte a parte. "Mi hanno tirato via un pezzo di cervello". A sparargli in testa, il 12 aprile 2019, furono i sicari mandati da Luca Lucci, il capo degli ultras del Milan, signore incontrastato della curva rossonera. Martedì scorso, al termine del processo "Doppia Curva", Lucci è stato condannato a dieci anni di carcere.
Che tipo è, questo Lucci?
"Ai miei tempi, quando andavo in Curva, era un ragno".
Prego?
"Ma sì, un niente. Uno da quarta fila. Poi io sono finito in carcere. Quando nel 2016 sono tornato a San Siro, ho scoperto che il ragno era diventato un capo".
Come è stato possibile?
"Me lo chiedo anche io. Lui era un pupillo dei vecchi capi della Sud, Giancarlo Lombardi e Giancarlo Cappelli. Sono stati loro ad allevarlo. Adesso Lombardi è stato messo da parte, ma Cappelli è ancora lì, lui e Lucci sono ancora legati a filo doppio. Lucci fa quel che dice Cappelli, e viceversa".
Perché ce l'avevano tanto con lei?
"Perché si erano convinti che io e il mio amico Alessandro Verga volessimo portargli via il controllo della curva e di tutto il business. Figuriamoci, chi se ne frega. Ma il problema è che io ho la testa di un ariete, se vedo un muro vado e lo sfondo. Per quattro volte hanno cercato di convincermi a forza di botte, l'ultima il 17 marzo di sei anni fa, ai tornelli d'ingresso, cinquanta contro uno. Non gli è bastato. Il mese dopo mi hanno sparato".
Come andò?
"Non lo so. I miei ricordi si fermano al momento in cui uscii di casa. E ricominciano quando settimane dopo mi risveglio in ospedale. So però di essere diventato un esempio. C'è una intercettazione in cui Pino Caminiti, uno della curva dell'Inter, dice ecco, vedete quelli della Sud, quando qualcuno fa lo scemo lo riducono a un vegetale. Al processo ho visto lui e Lucci scambiarsi gesti d'intesa".
Nell'inchiesta Doppia Curva lo stadio di Milano sembra un territorio dell'Antistato. Bande di pregiudicati dettano legge.
"E chi gli ha dato questo potere?"
Me lo dica lei. Come sono i rapporti con i due club?
"Lucci e il Milan erano pappa e ciccia".
E con i giocatori?
"I contatti tra giocatori e ultras sono sempre esistiti. Ma quando ero giovane i rapporti con Gullit, Van Basten, Kaka, erano puliti, sani. Una scena come quella di Calabria che va a salutare e ringraziare la Curva non sarebbe stata pensabile".
Però nel processo Doppia Curva il Milan e l'Inter si sono costituiti parte civile contro gli ultras.
"Già, e hanno ottenuto anche un bel risarcimento, una provvisionale di 50mila euro a testa. A me, che mi sono preso una pallottola nel cervello, me ne hanno dati diecimila. Mi sembra che non ci sia proporzione".
Lucci continua a negare di essere il mandante dell'agguato ai suoi danni.
"Daniele Cataldo, quello che era sulla moto dei killer, era nel direttivo della Sud...
E poi chi altro sarebbe stato? Vanno a dire in giro che dovevo novecentomila euro a dei serbi, ma io a Belgrado ci sono stato, e se i serbi mi volevano morto quella era l'occasione giusta...La storia è semplice, a farmi sparare è stato Luca Lucci. Mi dà fastidio solo che per scoprirlo ci abbiano messo sei anni".