Ira Trump: "L'Onu? Club di chiacchiere"

Il presidente eletto si comporta come se fosse già in carica e attacca le Nazioni Unite

Ira Trump: "L'Onu? Club di chiacchiere"

Seguita ad infrangere le regole e ne è molto felice. Parliamo ovviamente del 45° presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. I presidenti eletti, cioè non ancora insediati alla Casa Bianca (cosa che avverrà il prossimo 20 gennaio) per tradizione si astengono dall'intervenire sulla politica estera per non intralciare la libertà d'azione del presidente in scadenza, che agisce fino all'ultimo minuto con piena libertà e legittimità d'azione. La tradizione non è una cosa che freni Trump, il quale si comporta come se fosse in carica, diramando tweet dalla sua casa dorata, la Trump Tower sulla Fifth Avenue di Manhattan. La torre è un castello fatato dove entrano ed escono dignitari, rappresentanti di Stati esteri, ministri e aspiranti ministri, mentre Trump deve ancora decidere se confermare il nome del medico Tom Price come ministro della Sanità. Ormai tutti riconoscono che la stella di Obama impallidisce e la sua «legacy» l'eredità politica e la memoria storica svanisce. Ma Obama ha voluto dare segni di vita e di reazione complottando con l'Onu contro Israele almeno così sostiene il primo ministro di Gerusalemme citando fonti d'intelligence e per buona misura contro Trump affermando che se fosse stato in lizza lui per un terzo mandato, lo avrebbe massacrato.

Il presidente eletto è andato su tutte le furie contro il predecessore e i suoi colpi di coda, scendendo a rissa via tweeter con un rotondo «No way!», neanche per sogno: tu non mi hai battuto con la tua pupilla Hillary Clinton e se fossimo stati in duello, ti avrei fatto a pezzi. Poi ha attaccato le Nazioni Unite come strumento della rabbia politicamente corretta anti israeliana e anti americana («Le Nazioni Unite - ha twittato - hanno un grande potenziale, ma ora come ora sono soltanto un club per gente che si ritrova, chiacchiera e si diverte. Che tristezza!»), sicché anche Bibi Netanyahu da Gerusalemme ha rincarato la dose dichiarando che il popolo di Israele ha un grande e sano orgoglio e «non avrebbe offerto l'altra guancia». Trump ha avuto un vero moto di rabbia per il mancato veto americano che avrebbe bloccato la risoluzione che di fatto va a bloccare qualsiasi forma di accordo fra palestinesi e israeliani, visto che Israele costruisce anche di notte i settlement proibiti, pronto anche alla guerra senza la minima esitazione.

È impressionante vedere quanto gli Stati Uniti si stiano trasformando negli umori. La California è rimasta sola nella sua resistenza al nuovo presidente, mentre nelle provincie del Middle West chiudono molti piccoli giornali che avevano sostenuto la Clinton, perché i lettori ritirano gli abbonamenti e lo stesso fanno i concessionari di pubblicità. Lo stesso New York Times riconosce in un editoriale molto esteso che Donald non è stato votato da un elettorato bianco, ottuso e razzista, ma che è stato votato «malgrado» le note battute di Trump contro messicani e latinos e quelle infelici sulle donne. Emerge in questi giorni l'America decente ma silenziosa che covava sotto le ceneri della propaganda del partito democratico collassato sotto il peso della sua stessa presunzione.

Trump è apparso per lunghi mesi il candidato brutto sporco e cattivo che fa svenire i perbenisti di sinistra soltanto a sentirlo nominare e adesso si scopre che la sua interpretazione dell'America e del mondo era ben condivisa. Da notare anche il modo spavaldo con cui Trump ha risposto persino a Vladimir Putin che perorava la fine della corsa agli armamenti rispondendo «adoro le corse e che la corsa agli armamenti parta, io partecipo per vincere».

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