La rivolta in Iran entra nel quarto mese da quel 16 settembre in cui Mahsa Amini morì in ospedale, «per malattia», secondo le autorità iraniane, per le percosse e gli abusi subiti dopo il suo arresto, secondo testimoni. E le tecniche repressive del regime non cambiano, semmai si sono fatte più spietate, con le condanne a morte dei primi due manifestanti e i conseguenti disordini esplosi ieri nel carcere di Karaj, a ovest di Teheran, dove al grido «Abbasso Khamenei» i prigionieri hanno protestato contro nuove possibili esecuzioni. Le proteste non si fermano e così anche gli orrori compiuti nel nome della Repubblica islamica. Il corpo di un medico, la dottoressa iraniana Aida Rostami, 36 anni, (nella foto) scomparsa a inizio settimana a Teheran, è stato riconsegnato alla famiglia. Secondo le autorità, la sua morte sarebbe dovuta a un «incidente», ma la donna era tra i medici che in questi mesi hanno curato i manifestanti feriti nella repressione nella capitale, nel quartiere Ekbatan. Molti rivoltosi si sono infatti rivolti a medici consenzienti, per evitare di finire in ospedale, con il rischio di venire arrestati.
La dottoressa era scomparsa il 12 dicembre, dopo aver lasciato l'abitazione di un manifestante per andare a recuperare materiale medico. Il giorno dopo è arrivata la chiamata alla famiglia, in cui si diceva che la donna era rimasta uccisa in un incidente stradale, «probabilmente gettata da un ponte da un uomo con cui aveva una relazione», secondo Mizan, l'agenzia di stampa legata al potere giudiziario. Ma una fonte ha raccontato a IranWire, testata fondata da giornalisti della diaspora, che il medico legale ha riferito alla famiglia di aver ricevuto l'ordine di tacer ma di essere convinto che la donna sia stata torturata e uccisa. Come se non bastasse, nello stile del regime, anche i membri della famiglia della dottoressa «sono sotto pressione» per apparire in tv e confermare la falsa versione. Finora si sono rifiutati.
Per placare le proteste, il regime lancia anche un altro segnale chiaro a chi vuol far emergere la verità. È stato arrestato l'avvocato di diversi attivisti e giornalisti, tra cui le due reporter che raccontarono la morte di Mahsa Amini. Mohammad Ali Kamfirouzi è il 25esimo legale in manette a causa della rivolta. Aveva assunto la difesa di Niloufar Hamedi, reporter del quotidiano riformista Shargh, arrestata il 20 settembre dopo aver visitato l'ospedale dove Mahsa ha trascorso tre giorni in coma prima di morire. Kamfirouzi era anche l'avvocato di Elaheh Mohammadi, giornalista fermata il 29 settembre mentre lavorava al funerale di Mahsa, a Saqez. L'arresto di Kamfirouzi è un doppio avvertimento ad avvocati e giornalisti. Dei 70 reporter arrestati da inizio proteste, 35 sono in cella. In carcere è finita anche l'attrice Taraneh Alidousti che sui social ha sostenuto le proteste, pubblicato sue foto senza velo e criticato le esecuzioni.
Aveva scritto: «Il silenzio significa sostenere tirannia e tiranni». Il suo profilo Instagram non è più accessibile. E il regime minaccia di bloccare in modo permanente in Iran sia Instagram che Whatsapp, se non adegueranno le linee guida alla Repubblica islamica.
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