La libertà di poter usare tutte le parole, soprattutto certe parole, è il banco di prova dell'affidabilità, il coraggio, la serietà di un giornale. Si chiama indipendenza. Che non è solo, o tanto, dal potere. Ma soprattutto dalle ideologie. Tra le quali quella del politicamente corretto è la più deflagrante. È il motivo per cui ogni volta che la stampa italiana deve raccontare un attentato di matrice islamica - l'ultimo martedì scorso, al mercatino di Natale di Strasburgo - è sempre curioso notare (e l'abbiamo fatto molte volte, fin troppe, su queste pagine) come la maggior parte dei grandi quotidiani, Corriere della sera e Repubblica in primis, riescano puntualmente nell'impresa di evitare le parole islam, islamico, jihadista e sinonimi vari nella titolazione dei pezzi (di solito si parla di terrorismo in maniera generica, ultimamente va di moda il participio «radicalizzato», così, senza ulteriori specifiche). Persino in prima pagina. Intanto, ieri, a pagina 35 del Corriere, Pierluigi Battista ha dedicato la sua rubrica settimanale a «Quella religione che non si nomina», ironizzando, ma non troppo, sulla paura del nostro sistema informativo (giornali e anche tg) di notiziare la matrice del terrorismo, di solito islamica. «Chi fa quel nome viene deplorato come un irresponsabile fomentatore di una guerra di religione». L'articolo, va da sé, è ottimo. Così «ottimo», che giustamente si può scrivere solo a pagina 35. Senza richiamo in prima. Per non urtare l'anima politicamente civile e educata del Corriere.
È un po' come accadeva, nella sua ultima stagione in via Solferino, a Piero Ostellino. Così liberale, così intellettualmente onesto, così fastidioso, e così fuori linea, che i suoi pezzi finivano regolarmente nascosti. È la stampa, monnezza.
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