Davide Zamberlan
Londra Islanda, Svizzera e Norvegia sono i Paesi europei con il costo della vita più elevato, secondo i dati Eurostat 2018. Se comparati alla media dei 28 stati dell'Unione europea i prezzi a Reykjavik sono risultati del 56% più cari (quelli in Svizzera del 52% più alti, del 48% in Norvegia). I vantaggi di avere abbondanza di energia naturale con cui scaldarsi e illuminarsi vengono più che compensati da una bevuta al pub. Una pinta di birra costa 7 euro, un bicchiere di vino senza essere troppo pretenziosi viene servito al oltre 10 euro. Volete uscire a cena, in due, in un ristorante buono ma senza strafare? Mettete in preventivo circa 85 euro.
Dopo la catastrofica crisi finanziaria del 2008 che causò il fallimento di tutte e tre le maggiori banche del Paese e portò a un calo del prodotto interno lordo di oltre il 10%, l'Islanda ha vissuto una costante ripresa economica che l'ha portata a superare il livelli ante crisi (l'Italia si trova ancora al di sotto dei picchi raggiunti nel 2009). Ora qualcosa si è inceppato nell'isola dei geyser. Il fallimento della compagnia aerea Wow Air e le difficoltà dell'altro grande vettore del Paese, Icelandair, colpito dal blocco dei Boeing 737 Max per ragioni di sicurezza, hanno assestato un duro colpo a una delle principali fonti di reddito del Paese: il turismo. Nonostante i prezzi elevati, a partire dal costo dei biglietti aerei dall'Europa continentale (i voli da Londra sono molto più economici), l'Islanda aveva conosciuto negli ultimi anni un boom turistico. Non solo ghiacciai, geyser, vulcani, aurore boreali. Ma anche alcune tra le più spettacolari ambientazioni della serie Games of Thrones. Così come la Nuova Zelanda aveva conosciuto il turismo cinematografico alimentato dal Signore degli Anelli e l'Inghilterra quello legato a Harry Potter, così l'Islanda negli ultimi anni ha attratto molti amanti di Westeros e dei sette regni. Ciononostante Wow non ha saputo resistere alle fluttuazioni del prezzo del petrolio e a un elevato numero di compagnie aeree che hanno reso la competizione sempre più difficile.
L'isolamento naturale e la piccolezza del mercato islandese rendono l'isola fortemente dipendente non solo da beni e fattori economici esterni, ma anche da eventi critici che possono colpire una singola azienda privata, come nel caso di Wow. La fluttuazione della corona islandese aiuta a comprendere la precarietà dell'economia del Paese subartico: alla fine di maggio 2017 il prezzo in dollari di una vacanza in Islanda era di 5 volte più alto rispetto a fine 2018. Un indebolimento della corona che ha portato con sé una crescita dell'inflazione, salita nel primo trimestre 2019 al 3,1% e che rischia di erodere il potere d'acquisto degli stipendi islandesi, comunque fra i più alti d'Europa. Secondo le analisi economiche della Banca Centrale islandese le difficoltà del turismo sono maggiori di quanto previsto e porteranno a un ulteriore rallentamento dell'economia per la quale si prevede un rallentamento dello 0,4% nel 2019. Non più tardi di febbraio di quest'anno le stime sul Pil erano per una crescita dell'1,8%. La colpa non sarebbe da addossare solo a un calo dei flussi turistici ma anche a una annata particolarmente negativa per il settore della pesca, che Bloomberg ha definito catastrofica.
Per far fronte al rallentamento economico la Banca Centrale ha deciso di abbassare per due volte il costo del denaro, a maggio e a giugno, portandolo al 3,75%, il livello minimo da luglio 2011. Non si crede molto alla decrescita felice dalle parti di Reykjavik.
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