Cronaca internazionale

Israele, raid anti-terrore: 10 morti e ira palestinese

L'operazione dell'esercito a Jenin scatena rabbia e scontri. E Hamas promette vendetta

Israele, raid anti-terrore: 10 morti e ira palestinese

Pesanti colpi di arma da fuoco, esplosioni, le truppe israeliane che circondano gli edifici del campo profughi di Jenin in Cisgiordania. Una battaglia urbana, tra le operazioni più importanti condotte nella città dall'esercito negli ultimi mesi. Negli scontri sono morti 10 palestinesi, uno nel villaggio di a-Ram, e anche un'anziana, 20 i feriti, di cui 4 gravi. L'esercito israeliano ha subito precisato che l'ingresso in forze a Jenin è stato fatto per «catturare un terrorista di spicco», come ha riferito la radio militare. Altre fonti aggiungono che si tratta di uno dei comandanti locali della Jihad islamica che «ha progettato un grave attentato, da realizzarsi nell'immediato». L'esercito ha riferito fra l'altro di aver scoperto all'interno di un edificio dove si barricavano miliziani palestinesi anche due ordigni pronti per l'uso.

Per i palestinesi il raid è un altro episodio di una «occupazione» decennale, con i soldati che hanno pure «intenzionalmente sparato gas lacrimogeno contro un ospedale». Israele ha negato di averlo fatto volontariamente ma ha precisato tuttavia che il blitz «è avvenuto non lontano dall'ospedale ed è possibile che sia entrato attraverso una finestra aperta». L'ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh non ha usato giri di parole: «Seminando distruzione - ha protestato - le forze dell'esercito di occupazione hanno interrotto l'alimentazione elettrica del campo, negato l'accesso a paramedici e giornalisti, e aperto il fuoco su un'ambulanza. I soldati israeliani hanno inoltre sparato gas lacrimogeni sul reparto pediatrico dell'ospedale».

È intervenuto quindi Benjamin Netanyahu. Al termine della consultazione di governo ha spiegato che Israele «non punta a un'escalation» ma «le forze di sicurezza sono pronte ad affrontare ogni sviluppo. I soldati hanno sventato attentati che potevano costare molte vite umane». Un'emittente televisiva nazionalista, Canale 14, ha riferito che Israele ha elevato lo stato di allerta a ridosso della striscia di Gaza, nel timore di lanci di razzi palestinesi.

Si è alzata poi l'ira palestinese. Israele «pagherà il prezzo per il massacro», ha tuonato il numero due di Hamas, e responsabile per l'organizzazione in Cisgiordania, Saleh al-Arouri. Anche il portavoce della Jihad islamica Tariq Salmi ha sostenuto che «la resistenza è ovunque, pronta per il prossimo confronto». «Un massacro compiuto dal governo di occupazione israeliano nel silenzio internazionale», è stato il commento di Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente Abu Mazen. Mentre quest'ultimo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e ha ordinato l'esposizione a mezz'asta delle bandiere nazionali in onore dei «martiri». In precedenza aveva convocato a Ramallah una riunione straordinaria dell'esecutivo dell'Anp. «Il Coordinamento di sicurezza con Israele non esiste più» ha deciso la leadership palestinese. L'Anp ha quindi annunciato il ricorso al Consiglio di sicurezza dell'Onu. «Questo non è il passo giusto da fare in questo momento», ha però sottolineato la sottosegretaria Usa per gli affari mediorientali, Barbara Leaf. Intanto in diverse città palestinesi della Cisgiordania sono in corso scioperi.

Anche la comunità internazionale esprime la sua preoccupazione. L'inviato dell'Onu per il Medio Oriente, Tor Wennesland, si è detto «profondamente allarmato». Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, invece si recherà dal 29 al 31 gennaio in Israele, Cisgiordania ed Egitto.

In quell'occasione incontrerà sia Netanyahu che Abu Mazen.

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