Francesco De Palo
Niente simboli di partito, solo bandierine con la mezzaluna e numerosi ritratti del sultano. L'hanno intitolato «Comizio della democrazia e dei martiri», promosso dalle autorità turche nel quartiere Yenikapi di Istanbul per ricordare le vittime del tentato golpe avvenuto nella notte del 15 luglio scorso. Nei fatti è la mossa populista del presidente Erdogan per legittimare ulteriormente il proprio potere con un milione di persone in piazza, tre per gli organizzatori (anche se le stime dei presenti sono state inibite ai media turchi) e piazzare così un'altra stoccata all'ultranemico Gulen e a «chi lo protegge».
Il sultano turco, dopo le accuse agli Usa e all'Italia (per le indagini della procura di Bologna sugli affari di suo figlio Bilal) è arrivato in elicottero al raduno, stringendo la mano di sua moglie Emine, dove erano presenti anche i familiari dei 239 «martiri» del tentativo di golpe, oltre ai leader di due dei maggiori partiti d'opposizione e le autorità religiose, non i rappresentanti del partito filocurdo. I numeri sono lo specchio fedele dell'impronta data alla manifestazione dal governo: 2,5 milioni di bandierine turche, 1,5 milioni di cappellini e 5 milioni di bottigliette di acqua nella sola Istanbul, con altre agevolazioni per chi usa i mezzi pubblici (già gratis dallo scorso 16 luglio) grazie agli oltre 250 traghetti e 70 autobus, mentre per chi si è sobbarcato i 450 chilometri di trasferta da Ankara ecco mille autobus messi a disposizione, assieme a 13mila volontari, 15mila poliziotti, 165 metal detector. Una parata degna dei passati regimi sudamericani.
Di pedine e di imperialismo ha parlato il leader del Movimento nazionalista (Mhp), Devlet Bahceli, che ha accusato apertamente il predicatore Gulen, «un terrorista dalla Pennsylvania, travestito da studioso islamico che mira a sconvolgere l'unità della Turchia». Per poi attaccare a testa bassa: «Facciamo vedere la forza della Turchia agli Stati Uniti che stanno trovando ogni sorta di scuse per non estradare il terrorista Gulen». Da parte sua il neo-primo ministro Binali Yildirim ha studiato dai grandi comunicatori occidentali: per l'efficacia del raduno ecco vietate bandierine dei partiti, ammesse solo quelle turche con gli interventi dei leader politici preceduti dall'inno nazionale e dalla recitazione di versetti coranici, prima di lasciare il passo agli strali contro Usa ed Europa.
Con questo surreale raduno si chiude la cosiddetta «guardia democratica», ovvero la mobilitazione della flotta di adepti di Erdogan che ogni notte presidiano le più significative piazze del Paese, tra cui piazza Taksim a Istanbul (teatro di sangue e manifestazioni nel 2013), per ascoltare discorsi di alti papaveri governativi trasmessi da appositi
megaschermi. Un passo indietro incredibile quello turco: per avere un'idea, solo dieci anni fa a Istanbul in quelle piazze ci si preparava alla visita di Papa Benedetto XVI. E i giornalisti erano ancora rispettati.twitter@FDepalo
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