Istat: "Salari cresciuti più dei prezzi"

Il Rapporto annuale evidenzia il recupero di potere d'acquisto con le riforme Meloni

Istat: "Salari cresciuti più dei prezzi"
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Nel 2024 le retribuzioni nominali in Italia hanno finalmente corso più dell'inflazione, segnando un parziale ma significativo recupero del potere d'acquisto eroso durante il biennio 2021-2022. Lo certifica l'Istat nel suo Rapporto annuale 2025 sulla situazione del Paese, presentato ieri alla Camera. In particolare, l'anno scorso la crescita annua dei salari medi reali è stata del 4,3% a fronte di un tasso d'inflazione medio annuo dell'1%. I rinnovi contrattuali, il taglio del cuneo fiscale e la prima fase della riforma Irpef, quest'ultimi entrambi avviati dal governo Meloni, hanno determinato questa performance.

Alla fine dello scorso anno le retribuzioni contrattuali per dipendente risultavano cresciute del 10,1% rispetto all'inizio del 2019. Nello stesso periodo, tuttavia, l'inflazione, misurata dall'Indice dei prezzi al consumo armonizzato, è aumentata del 21,6%, determinando una perdita complessiva di potere d'acquisto. Non si tratta, tuttavia, di un intervallo di misurazione canonico considerato che la base triennale, quella dei rinnovi contrattuali (sebbene non tutti si concludano in tempo utile), sarebbe più appropriata. Il dato appare comunque meno negativo se si considerano le retribuzioni lorde di fatto, ovvero quelle stimate dalla contabilità nazionale, che tengono conto degli accordi decentrati e della composizione dell'occupazione. In questo caso, la perdita reale tra il 2019 e il 2024 si riduce al 4,4%, meglio rispetto al dato contrattuale.

Una performance meno brillante rispetto ad altri grandi Paesi europei: la Francia ha registrato una perdita del 2,6%, la Germania dell'1,3%, mentre la Spagna si distingue per un guadagno del potere d'acquisto pari al 3,9% nello stesso periodo. Nei primi mesi del 2025, la crescita delle retribuzioni contrattuali è proseguita in maniera robusta (attestandosi sempre attorno al 4%), secondo quanto rileva ancora l'Istat, alimentando l'aspettativa di un ulteriore miglioramento nel 2025.

Il mercato del lavoro continua, inoltre, a mostrare segnali positivi. Alla fine del 2024, il numero degli occupati ha toccato i 23,9 milioni, con una crescita dell'1,5% su base annua e del 3,6% rispetto al 2019. Si tratta di un record storico per il nostro Paese, sostenuto anche dalla crescita degli occupati con titoli di studio più elevati: i laureati aumentano del 3,7%, segno di una forza lavoro più qualificata. Particolarmente positivo anche l'andamento occupazionale tra gli over 50 (+3%) e nel Mezzogiorno, che registra la crescita più sostenuta tra tutte le aree territoriali (+2,2%). Anche il numero di lavoratori a tempo indeterminato è aumentato, contribuendo a una maggiore stabilità dell'occupazione.

A sostenere l'evoluzione positiva del quadro macroeconomico è anche il miglioramento dei conti pubblici. Nel 2024 il deficit è sceso al 3,4% del Pil, in netto calo rispetto al 7,2% registrato nel 2023. Il saldo primario, ossia il bilancio al netto della spesa per interessi, è tornato in attivo per la prima volta dal 2019 (+0,4% del Pil). Anche il debito pubblico, pur restando elevato, si è attestato al 135,3% del Pil, un livello migliore rispetto al 135,8% previsto dal governo e significativamente più basso del 138,6% stimato dalla Commissione europea.

Tuttavia, persistono diverse fragilità. Il tasso di occupazione, pur in crescita, si ferma al 62,2%, il più basso tra i Paesi dell'Unione europea.

Inoltre, il 23,1% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale, una quota che resta sostanzialmente invariata rispetto all'anno precedente. Le stime sulla crescita del Pil si collocano tra lo 0,4% e lo 0,6%, frenate da un contesto internazionale segnato dalle tensioni geopolitiche.

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