Istruzione, ispiriamoci agli anni '50

Se non abbiamo i mezzi per andare avanti, torniamo indietro

Istruzione, ispiriamoci agli anni '50

Mancano un paio di settimane o poco più all'apertura delle scuole. E come ogni anno, da mezzo secolo, siamo alle solite: mancano gli insegnanti, mancano i supplenti, mancano i docenti di sostegno che non si sa bene chi sostengono e perché. Non sono un esperto del ramo. Osservo soltanto che il tempo trascorre, ma il problema dell'istruzione, nonostante ciascun ministro avvicendatosi al timone del dicastero si sia impegnato a riformare il progetto educativo, non è mai stato risolto, nemmeno parzialmente.

Comincia l'anno scolastico e ogni volta siamo di fronte al dramma: i professori si lagnano, le aule sono poche, gli edifici sono decrepiti e rischiano di crollare sulla testa degli alunni. Che barba. L'ultima rivoluzione fu fatta da Mariastella Gelmini, alla quale la sinistra si oppose trattandola come una matta. Viceversa la ministra bresciana riuscì a razionalizzare il settore. Scoprì che in Italia c'erano più bidelli che carabinieri. E si domandò a che servissero se poi le pulizie negli istituti erano affidate a imprese private esterne, ovviamente remunerate a prezzi di mercato. Tentò di mettere ordine e in parte ebbe successo.

Oggi però si presentano altre esigenze. La nuova responsabile, quella delle tette al vento, ossia Stefania Giannini, afferma che bisogna ingaggiare 100mila - sottolineo 100mila - docenti. Il premier Matteo Renzi è d'accordo con lei. Mentre il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, avverte che in cassa non ci sono soldi per finanziare una simile operazione. Vabbè. Troveranno un compromesso. Che tuttavia non sistemerà le cose, cosicché nel 2015 saremo ancora qui a discutere dell'inefficacia della scuola e dell'esiguità degli organici.

I ragazzi della mia generazione cominciavano le lezioni a ottobre. Alle elementari e alle medie, il numero dei discenti non era mai inferiore a 30 per classe, affidati alle cure di un solo maestro o di qualche professore o professoressa. Si tirava avanti sino a giugno senza intoppi. Accadeva che talvolta in cattedra, causa malattia del titolare, giungesse un supplente. Vi si tratteneva alcuni giorni, poi rientrava il suddetto titolare e si procedeva. Da notare che eravamo negli anni Cinquanta, anni terribili, postbellici, di miseria nera, eppure il sistema scolastico funzionava egregiamente. Il livello di preparazione degli studenti non era di certo inferiore a quello odierno. Come mai ora, benché l'Italia sia assai più benestante, l'istruzione ha perso qualità, gli insegnanti sono scontenti e molti di essi sono disoccupati?

Ignoriamo i motivi per cui nell'ultimo mezzo secolo l'intera organizzazione abbia perso efficienza.

Gli italiani fanno pochi figli. La scuola dell'obbligo costringe i ragazzi a frequentare fino ai 14 anni e la maggioranza di essi prosegue gli studi nelle superiori. Però occorre anche dire che le aule con più di 20 giovani sono poche, pochissime. E allora, se il personale non basta, perché invece di reclutare maestri e professori non istituiamo classi di 30 elementi secondo il modello antico? Se non abbiamo denaro per assumere insegnanti, in sostanza, facciamo di necessità virtù: ciascuno di essi si prenda in carico più ragazzi. Il Paese sta tirando la cinghia, è giusto che la tiri anche il corpo docente. E si rassegnino pure gli studenti a un maggiore affollamento delle aule.

Se non abbiamo i mezzi per andare avanti, torniamo indietro, quando l'istruzione media non era comunque dammeno rispetto a oggi e un diplomino da ragioniere ti

permetteva di assicurarti un buon lavoro e forse valeva più di una laurea triennale. Siamo noi che dobbiamo adeguarci alla realtà e non viceversa. Non è detto che risparmiare significhi ottenere risultati peggiori. Anzi.

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