Exitaly o Leaveitaly, comunque lo si voglia chiamare, un simile scenario è altamente improbabile. Dopo gli allarmismi degli ultimi giorni, una banca internazionale, Credit Suisse, ha messo nero su bianco che, qualunque sia l'esito del prossimo referendum costituzionale, l'uscita dell'Italia dall'Europa ha solo l'1% di possibilità di verificarsi, anche in caso di successive elezioni e di una vittoria schiacciante dei 5 Stelle di Beppe Grillo. Per di più, l'addio a Bruxelles non potrebbe realizzarsi prima di almeno due anni. Non solo. Anche qualora dovessero vincere i no, i «danni», a giudizio della banca internazionale, sarebbero «contenuti». Nessun effetto domino e nessun rischio sistemico è quindi legato, allo stato attuale, al voto sulla riforma della legge elettorale a cui, inizialmente, il premier Matteo Renzi aveva vincolato le proprie sorti politiche.
Nel frattempo, ben prima del referendum costituzionale, per Renzi si delinea un altro appuntamento cruciale come ricorda Hsbc, uno dei principali gruppi bancari al mondo con sede a Hong Kong: la presentazione del budget prima al Parlamento (il 27 settembre) e poi a Bruxelles (entro il 15 ottobre). Le proposte avanzate dal premier potrebbero richiedere una maggiore flessibilità di bilancio nella finanziaria, concetto inviso alla Germania di Angela Merkel. Ma tutto considerato, secondo Hsbc, anche in vista del referendum e dello stop alle riforme che potrebbe essere determinato da una caduta di Renzi in seguito a una vittoria del fronte del no, «i politi europei dovrebbero pensarci due volte prima di rigettare la proposta di budget del premier» esacerbando il clima politico.
«Il referendum costituzionale italiano può portare a un episodio di volatilità di mercato», ammette Credit Suisse in uno studio dedicato ai rischi politici che potrebbero minare, nei prossimi mesi, un'Unione europea indebolita dall'uscita della Gran Bretagna e, prima ancora, dalla recessione economica, dai flussi migratori e dai recenti attacchi terroristici. Ma «vi sono davvero poche possibilità che l'esito referendario abbia conseguenze sistemiche» aggiunge l'analisi. In questo contesto «molto più frammentato rispetto all'inizio della crisi», l'appuntamento italiano con le urne per cui non è stata ancora fissata una data (per Credit Suisse sarà il 27 novembre), è solo uno dei tanti punti interrogativi che potrebbero mettere in discussione il destino europeo. Per la banca elvetica occorre infatti tenere sotto osservazione anche le elezioni olandesi (a marzo), francesi (a maggio) e tedesche (il 17 settembre).
Certo «la vittoria del no rappresenta una possibilità reale, che potrebbe avere conseguenze negative a livello politico, economico e finanziario, ma l'impatto sarebbe contenuto. Non dovrebbe portare all'uscita dell'Italia dall'euro e, probabilmente, neppure a nuove elezioni» scrive Credit Suisse. Se anche gli italiani dovessero rispedire al mittente la proposta di riforma costituzionale, le conseguenze sarebbero presto dette: salirebbe il rendimento del debito pubblico, aumentando i costi per lo Stato, anche se il rischio sarebbe contenuto dalla politica di quantitative easing della Bce, e potrebbero essere rinviate le ricapitalizzazioni bancarie in calendario (Mps, Unicredit e, forse, Carige).
La maggiore instabilità potrebbe portare poi a preferire interventi dello Stato al posto di soluzioni di mercato per risolvere le situazioni più gravi. Ma «le somme coinvolte sarebbero relativamente modeste per le finanze pubbliche», conclude lo studio di Credit Suisse.
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