Gli italiani strozzati dall'Imu: case in rovina per non pagarla

Dal 2011 i ruderi sono cresciuti dell'87%: una soluzione estrema per liberarsi dal balzello introdotto da Monti

Se non si riesce a vendere o ad affittare, allora è meglio la rovina. È meglio lasciare che la fatiscenza si mangi muri, pareti e interni, trasformando la vecchia casa ereditata da un genitore o il locale commerciale rimasto vuoto, in un rudere. Tradotto, in un immobile esente da Imu e Tasi. L'exit strategy fiscale scelta da sempre più proprietari esasperati dagli anni passati tra crisi e recessione, strozzati dalle imposte immobiliari, ha ormai assunto le dimensioni di un fenomeno. Ed ecco che sembra una vera tendenza alla decadenza immobiliare quella fotografata dalla mappa del catasto italiano, che continua a registrare un boom dei cosiddetti edifici «collabenti», cioè ridotti a un livello di degrado tale da non costituire per l'Erario una rendita catastale per chi li possiede. E pertanto, esentasse.

Nel 2017, denuncia Confedilizia, il numero di questo tipo di fabbricati è cresciuto del 9,8% rispetto al 2016. Ma guardando più indietro al 2011, a quando cioè è stata reintrodotta l'Imu sulle prime case, dopo che nel 2008 era stata abolita sotto il governo Berlusconi, e successivamente nuovamente cancellata per le prime abitazioni, i ruderi sono aumentati dell'87,2% passando da 278.121 a 520.59: significa oltre 242mila unità in più che i proprietari hanno iscritto nella categoria degli immobili «caratterizzati da un notevole livello di degrado che ne determina l'incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio». Un intero patrimonio in dismissione. Ma soprattutto una strada obbligata per molte famiglie che non sono più state in grado di affrontare le spese di una seconda casa rimasta sfitta o invenduta: all'Imu, infatti, si è poi aggiunta anche la Tasi, la tassa sui servizi indivisibili introdotta nel 2014 sulla prima casa e poi mantenuta solo per le altre abitazioni. Una voce di costo che pesa nel bilancio familiare soprattutto se, come spesso accade, a fronte di una rendita zero causata dalla stagnazione del mercato del mattone. Da qui la scelta dell'abbandono.

«Si tratta di immobili, appartenenti per lo più a persone fisiche, per i quali i proprietari non sono in grado di far fronte alle spese di mantenimento e alla abnorme tassazione patrimoniale - spiega il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa - e che raggiungono condizioni di fatiscenza per il semplice trascorrere del tempo o, addirittura, a causa di atti concreti dei proprietari, che mirano così a liberarsi almeno degli oneri che comportano. È necessario fare qualcosa per salvare il patrimonio immobiliare italiano, restituendogli una minima capacità reddituale». Non sono rari, infatti, i casi di cronaca di auto danneggiamenti dei titolari finalizzati a declassare i loro stabili. Case, ma non solo. C'è la piaga dei capannoni, scheletri di aziende chiuse divenuti fardelli sul groppone di ex imprenditori, tanto da essere stati anche oggetto di pratiche illecite innescate dalla disperazione: come per esempio la rimozione del tetto, che costituisce proprio uno dei requisiti per entrare nella categoria «F», ovvero dei «non idonei a produrre reddito» per i quali scatta l'esenzione dalla tassazione. Un capitolo, il prelievo fiscale sugli immobili, che nel 2017, secondo i report dell'Agenzia delle Entrate, ha fruttato allo Stato un gettito di 38 miliardi di euro, tra Imu, Tasi, imposte sui trasferimenti, Iva. Solo l'Imu ha consentito di incassare circa 20 miliardi.

Ma ha anche innescato la fuga dalle uniche prime case che sono ancora soggette all'obolo, quelle di lusso: dall'anno scorso sono in calo le abitazioni signorili (-1,6%), le ville (-0,7%), i castelli e i palazzi di pregio (-0,8%).

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