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"Un passo avanti", "Pochi 5 anni". È scontro sullo ius scholae

Per la rubrica Il bianco e il nero abbiamo interpellato il grillino Giuseppe Brescia e la forzista Annagrazia Calabria sul tema dello 'ius scholae'

"Un passo avanti", "Pochi 5 anni". È scontro sullo ius scholae

La legge sullo 'ius scholae' inizia oggi il suo dibattito a Montecitorio e già apre una crepa all'interno della maggioranza. Ne abbiamo parlato col pentastellato Giuseppe Brescia e la forzista Annagrazia Calabria, rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, dove il provvedimento è stato discusso prima del suo approdo in Aula.

Quali sono i "benefici" e quali gli eventuali rischi dello ius scholae?

Brescia: “Credo che il modello dello ius scholae tenga insieme diritti e doveri e riconosca il reale radicamento di tanti giovani già in Italia. Grazie a questa modifica di una norma vecchia trent’anni tante persone potranno affrontare con più serenità la loro vita, sentirsi sin da subito parte integrante della comunità e una volta giunti alla maggiore età ad esempio partecipare alla vita politica attivamente, fare un concorso per accedere alla Pubblica amministrazione”.

Calabria: “Partiamo da un presupposto: essere cittadini italiani significa abbracciare valori, tradizioni, identità culturali che costituiscono il fondamento dell’appartenenza a una grande comunità nazionale. In assenza di tutto questo, non può esserci alcuna reale integrazione nel nostro tessuto sociale. Non c'è dubbio che in questo percorso la scuola abbia un ruolo centrale. Perciò, se si vuole davvero modificare il nostro ordinamento all'insegna dello “ius scholae”, il criterio scolastico deve essere non solo fortemente qualificante nell'iter verso l'acquisizione della cittadinanza, ma anche aderente al nostro sistema di istruzione nazionale. Presupposti che, in assenza di modifiche, mancano nel testo votato in Commissione Affari costituzionali. Il rischio, oggi, è quello di prestare il fianco a distorsioni e ad automatismi che squalificano il valore della cittadinanza italiana”.

Ritiene che, in questo contesto storico, questo sia un tema così urgente e impellente da dover essere affrontato ora?

Brescia: “È sempre il momento giusto per parlare di diritti. Riconoscere un diritto a qualcuno comporta un beneficio per tutta la società. Non approvare lo Ius scholae significherebbe non riconoscere il lavoro di educatori, dirigenti scolastici, insegnanti che ogni giorno in classe creano appartenenza, inclusione e senso di comunità. È una legge che fotografa semplicemente la realtà”.

Calabria: “Oggi l’attualità parla della recrudescenza della pandemia, della crisi economica derivante dall'inflazione, trainata dai rincari delle materie prime e dell'energia, delle conseguenze sociali del drammatico conflitto bellico in Ucraina, dei progetti del Pnrr da concretizzare in modo efficace. Le urgenze sono molte, e di enorme rilevanza. Ciò non significa che il Parlamento non possa affrontare anche altri temi, specialmente quelli sociali che interrogano la coscienza e la sensibilità di molti, ma è indispensabile farlo con equilibrio ed intelligenza”.

Lo ius scholae è un punto di caduta, una legge frutto di una mediazione oppure è solo il preludio per, poi, magari alla prossima legislatura, far passare lo ius soli?

Brescia: “Questa legge è un importante punto di arrivo, un passo in avanti dopo trent’anni di stallo. Non credo che ci siano i margini in Italia per lo ius soli e bisogna dare atto che è stato il MoVimento 5 Stelle grazie al presidente Conte a indicare questa soluzione pragmatica. Oggi siamo protagonisti di un processo di cambiamento storico. In futuro si dovrà rivedere la cittadinanza per gli italiani all’estero. Lo dico con le parole del professor Paolo Morozzo Della Rocca della comunità di Sant’Egidio: con la legge vigente ‘si potrebbe benissimo essere italiani senza sapere dov’è l’Italia e appartenendo, magari, a una comunità antropofaga dell’Oceania dove un avo italiano esploratore si invaghì nel 1800 della trisnonna concependovi un figlio creolo, cresciuto senza nemmeno sapere di essere italiano’. È una stortura e curiosamente non la vuole correggere chi predica la difesa della purezza della cittadinanza”.

Calabria: “Da parte nostra c’è stata sempre una contrarietà chiara e netta allo ius soli, proprio per i motivi che le ho indicato sopra: la cittadinanza è uno stato giuridico che deve contenere dei presupposti civici, sociali e culturali, non può essere espressione di un iter burocratico. Per questo diciamo no agli automatismi, di cui lo ius soli è la massima espressione. Senza dimenticare che il nostro Paese, ancora oggi, è interessato da imponenti flussi migratori che sarebbero fatalmente destinati ad aumentare in maniera esponenziale con una simile modifica ordinamentale”.

Crede che l'Italia sia pronta per una legge di questo tipo oppure no?

Brescia: “È pronta da almeno dieci anni. Sono pronti gli insegnanti, tutti entusiasti per aver confermato la centralità della scuola nei percorsi di vita di ognuno. Sono pronti i ragazzi italiani, amici dei futuri cittadini. Guardando alcuni sondaggi sono pronti anche tanti elettori del centrodestra. I loro leader pensano di tenerli in ostaggio con i loro slogan, ma nessun partito porta a spasso i suoi elettori come una valigia. È pronto il Nord: in Lombardia studia un quarto dei cittadini stranieri, in Veneto il 70% degli studenti è di seconda generazione”.

Calabria: “Se scegliamo la strada del percorso educativo, non a parole, ma in maniera seria, equilibrata e responsabile, senza scorciatoie, credo che il Paese possa mostrarsi favorevole. Si tratta di riconoscere la cittadinanza a bambini e adolescenti che parlano la nostra lingua, sono compagni di classe dei nostri figli, rispettano le stesse regole, crescono in Italia e si sentono italiani. Il nostro impegno per migliorare il testo è teso a evitare fughe in avanti che abbiano come risultato quello di svendere la nostra cittadinanza e che non sarebbero capite. Non è davvero il tempo del marketing politico, servono piuttosto regole chiare e di buon senso. L'idea di una integrazione facile, a buon mercato, che la sinistra ha propagandato per anni, ha drammaticamente fallito alla prova dei fatti”.

Ritiene davvero sufficiente aver frequentato un ciclo di scuola di 5 anni per dirsi italiani e ricevere la cittadinanza?

Brescia: “Sì, ne sono profondamente convinto. Se non basta la scuola ad essere italiani, basta forse "il sangue"? O dobbiamo chiedere solo gesti spettacolari e simbolici come nel caso del 2019 di Adam e Ramy? Le società scientifiche di pedagogia e pediatria con due distinte iniziative hanno apertamente sostenuto la bontà di questa legge. Credo che il loro sia un contributo molto competente”.

Calabria: “Ecco, questa domanda tocca il punto essenziale. Ho presentato alcune proposte di modifica in Commissione proprio per rendere i requisiti necessari alla cittadinanza davvero legati al criterio scolastico. Nel caso di minori stranieri nati in Italia, o arrivati in Italia da piccoli, per noi deve essere necessaria la frequenza regolare e la conclusione positiva del primo ciclo di istruzione, che comprende la scuola elementare e la scuola media. Sono 8 anni, in Italia è la scuola dell’obbligo. Non è quindi una questione formale o astratta, ma sostanziale: l'obiettivo è valorizzare realmente il percorso di studi del minore, affinché sia seriamente uno “ius scholae” e, così facendo, garantire la sua reale integrazione nel tessuto sociale e culturale italiano. Se ci si limita alla mera frequenza, e per soli 5 anni, rischiamo di falsificare un progetto di integrazione che sia davvero legato all’educazione e al sistema di istruzione nazionale. Serve una riforma condivisa, che tenga conto di tutte le sensibilità politiche per un obiettivo comune.

È sbagliato spaccare il Parlamento e la maggioranza di Governo su questo tema. Per questo riteniamo incomprensibile l’opposizione del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle alle nostre modifiche di buon senso, che ripresenteremo in Aula”.

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