Guerra in Ucraina

"Joe chiami Vladimir", la tela di SuperMario

Evoca un piano Marshall per Kiev: è la strategia per portare l'Ucraina in Occidente

"Joe chiami Vladimir", la tela di SuperMario

Si torna a Roma e è un rituffarsi nelle solite cose. Ad attenderlo c'è la politica italiana, con i tatticismi di breve respiro, che come orizzonte hanno solo l'indice dei sondaggi. C'è un po' di sconforto. Mario Draghi si lascia Washington alle spalle, dove non è stato facile far sentire la voce di chi guarda alla guerra in Ucraina dall'altra parte dell'oceano. Biden si aspettava forse un appoggio incondizionato al pugno di ferro contro Putin, Draghi lo ha invitato a immaginare già da adesso delle strade per costruire una pace, che è ancora lontana, ma non arriva se non ci si lavora. Le parole tra i due sono state cordiali, ma è come se si muovessero su due tempi diversi. Il presidente degli Stati Uniti deve dimostrare adesso a Putin che il conto da pagare sarà salato, Draghi incarna il sentimento europeo che vuole uscire il prima possibile da questa sciagura. Ecco le parole di Draghi: «La pace è quella che vorranno gli ucraini. Biden e Putin però si siedano a un tavolo per cercare una soluzione».

Il futuro è anche quello di Kiev. La pace passa anche da come ricostruire un Paese che sta resistendo al di là dell'immaginabile, completamente devastato e che dovrà ricominciare dall'anno zero. Draghi ne ha parlato all'Atlantic Council: «Dobbiamo continuare a stare dalla parte dell'Ucraina molto tempo dopo la fine della guerra. La distruzione delle sue città, dei suoi impianti industriali, dei suoi campi richiederà un enorme sostegno finanziario. L'Ucraina avrà bisogno del proprio Piano Marshall, come quello che ha contribuito alle relazioni speciali tra Europa e Stati Uniti». È chiaro che questo significa portare il destino di Kiev dentro l'Occidente, sotto la bandiera europea e farne in qualche modo perfino un simbolo. È far capire che alla fine di questa storia l'Ucraina potrà anche perdere qualcosa, ma non sarà una terra di nessuno. È anche questo un mattone per arrivare alla pace. Draghi sa benissimo che nulla sarà mai come prima. Ha già detto che la stessa struttura dell'Ue non può restare come è adesso. Chi sta dentro deve condividerne i valori fondamentali e va disinnescato il potere di veto. Il principio dell'unanimità sta bloccando ogni possibilità di movimento dell'Europa. È arrivato il momento di decidere cosa si vuole essere. Non sarà facile e il percorso non può essere breve. Non tutti ci staranno, ma l'alternativa è restare un appendice in uno scenario di imperi che si sfidano per il nuovo equilibrio del mondo.

Tutto questo sembra contare poco nel dibattito politico italiano. Draghi torna a Roma e deve passare sopra alle rimostranze di Conte, che sta provando, senza neppure riuscirci più di tanto, a indossare la maschera di un pacifismo anti Nato. I Cinque stelle ormai stanno al governo con lo spirito di chi vorrebbe stare all'opposizione ma non trova conveniente farlo. L'obiettivo è arrivare al voto in Parlamento sull'invio di armi all'Ucraina. Non è ancora previsto. L'importante è sapere che un «no» equivale di fatto a lasciare l'alleanza atlantica. È un po' lo stesso atteggiamento di Matteo Salvini. Il leader leghista chiede un incontro con Draghi. Dice che la priorità è il cessate il fuoco. «Pace entro maggio». Sì, sarebbe bello. Solo che non bisogna dirlo solo a Biden, ma bisogna convincere anche Putin.

La Russia ieri ha minacciato la Finlandia e di nuovo ha evocato la guerra nucleare.

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