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Kamala, flop senza fine Il politicamente corretto è arrivato al capolinea

Doveva sostituire Biden, tocca il minimo del consenso. Tra gaffes, incapacità e arroganza

Kamala, flop senza fine Il politicamente corretto è arrivato al capolinea

L'avevano scelta perché era l'incarnazione del politicamente corretto capace di garantire il voto femminile, quello «nero» e, grazie alle origini indiane, anche quello degli immigrati. Ma non solo. Kamala Harris nel sogno di tanti Democratici rappresentava anche una opzione di lungo termine sulla Casa Banca. Dopo uno o due mandati di addestramento Kamala sarebbe stata perfetta per succedere all'anziano presidente Joe Biden. Dopodiché sarebbe stato uno scherzo restare al potere per altri otto anni. Ma alla prova dei fatti non sta andando così. Anzi la prima donna dalla pelle scura nella storia della Casa Bianca si sta rivelando un autentico disastro.

A neanche undici mesi dalla nomina è detestata dalla maggioranza degli americani e liquidata come incapace, mediocre e incompetente non solo dagli avversari repubblicani, ma persino dalle «gole profonde» della Casa Bianca. Più male delle critiche e del «fuoco amico» fanno i numeri. Stando alla media dei rilevamenti effettuati lo scorso 30 novembre il 52 per cento degli americani non la sopporta più. Ma qualche sondaggio arriva ad attribuisce un gradimento persino inferiore al 35 per cento. Un risultato devastante, soprattutto se affiancato a quello di un Joe Biden bocciato, pure lui, dal 53 per cento degli americani. Joe Biden e la sua vice raccatterebbero, insomma, meno consensi di Trump e Pence considerati, ad oggi, i campioni storici dell'impopolarità presidenziale. Il segnale più evidente dell'inarrestabile picchiata di Kamala è l' esodo dei suoi collaboratori protagonisti di un'autentica fuga dalla nave che affonda. Il «si salvi chi può» è arrivato mercoledì quando la Harris ha ricevuto le dimissioni di Symone Sanders, una veterana della politica già responsabile della campagna di Biden, reclutata con il doppio ruolo di portavoce e stretta consigliera. Una perdita incolmabile che si aggiunge a quella di Ashley Etienne, la direttrice della comunicazione dimessasi il 18 novembre. Entrambe se ne sarebbero andate dopo durissimi e prolungati scontri con una Harris considerata non solo incompetente, ma anche arrogante e presuntuosa. Difettucci già venuti alla luce sul sito americano politico.com dove erano comparse, a suo tempo, le rivelazioni di alcuni collaboratori di Kamala che raccontavano di «essere trattati come delle m».

Rivelazioni precedute a giugno dalla fuga di altri due elementi di punta come Karly Satkowiak e Gabrielle DeFranceschi. L'arroganza dell'inesperta Kamala è peraltro all'origine delle paurose gaffe inanellate nella gestione dei tre spinosi dossier affidatigli da Biden ovvero le politiche migratorie, l'aborto e il diritto al voto. A giugno Kamala Harris non si fece problemi a liquidare con superficiale protervia un giornalista della Nbc che le chiedeva come mai non avesse ancora visitato il confine con Il Messico.

Ma il peggio arrivò in Guatemala dove riuscì a sembrare la controfigura di Trump: «Ai migranti - sbotto la vicepresidente - dico di non venire negli Stati Uniti, perché sarete rimandati indietro». Parole che suonarono come un requiem per quelle politiche migratorie che Biden considerava fondamentali per differenziare il suo mandato da quello di The Donald.

Da allora i rapporti tra le due ali della Casa Bianca sono andati progressivamente peggiorando tanto da alimentare le voci di una possibile sostituzione della Harris subito dopo le prossime elezioni di «mid-term». Una mossa clamorosa ma indispensabile, secondo molti esponenti democratici, per scaricare su Kamala le responsabilità della disfatta e cercare di ripartire.

Con tanti saluti alle donne, alla pelle nera e al politicamente corretto.

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