Kamala Harris come Obama. "Lei eletta? Non è americana"

Falsa teoria sulla candidata. Trump non la smentisce: «Sarebbe grave». E i Dem si scatenano: «Ripugnante»

Kamala Harris come Obama. "Lei eletta? Non è americana"

Valeria Robecco

New York Donald Trump flirta di nuovo con l'irresistibile tentazione dei «birther», questa volta applicata al «caso» Kamala Harris. È la nuova accusa mossa dai detrattori al presidente americano a 48 ore dall'inizio della convention democratica di Milwaukee, dove Joe Biden e la sua neo aspirante vice accetteranno la nomination dell'Asinello per Usa 2020. La stessa che il tycoon accetterà dalla Casa Bianca il 27 agosto.

A innescare l'ennesima polemica sul Comandante in Capo sono state le reazioni alle parole del professore di diritto della Chapman University John Estman, il quale ha sollevato la questione dell'eleggibilità della senatrice. In un articolo su Newsweek ha sostenuto che Harris non si può candidare perché entrambi i genitori non erano cittadini americani quando il 20 ottobre del 1964 è venuta al mondo la figlia. Kamala, però, è nata ad Oakland, California, è quindi secondo la legge Usa, che prevede lo ius soli, è cittadina statunitense. Il 14esimo Emendamento della Costituzione afferma infatti che per servire come presidente o vice presidente un candidato deve essere cittadino di origine naturale, avere almeno 35 anni ed essere residente in Usa da almeno 14 anni. Requisiti che lei soddisfa, e il fatto che il padre fosse immigrato dalla Giamaica e la madre dall'India non cambia lo stato delle cose. «Ho sentito oggi che Kamala non rispetterebbe i requisiti», ha detto Trump nel corso di una conferenza stampa: «Non ho idea se sia vero. Penso che i democratici abbiano verificato prima di sceglierla. In ogni caso è una questione molto seria». Insomma, di certo non ha sposato direttamente la teoria del «birther», ma non l'ha neanche seccamente smentita.

E così la campagna elettorale di Biden ha colto l'occasione per lanciare un'altra stoccata a The Donald, bollando le sue parole come «ripugnanti» e «patetiche». Il portavoce del candidato dem, Andrew Bates, ha definito Trump «il leader nazionale del movimento grottesco e razzista dei Birther riguardo Barack Obama», e colui che «ha cercato di alimentare il razzismo e lacerare la nostra nazione in ogni singolo giorno della sua presidenza».

L'attuale inquilino della Casa Bianca, anni fa, è stato tra i principali promotori del movimento che negava la nascita in Usa del suo predecessore. Nel 2011, stanco delle teorie cospirazioniste (soprattutto degli ultraconservatori) secondo cui era nato in Kenya e non negli Stati Uniti, Obama diffuse la copia dettagliata del suo certificato di nascita. «Sono nato a Honolulu, nelle Hawaii, il 4 agosto 1961. Non abbiamo tempo per queste stupidaggini, ho tante cose migliori da fare», disse. Tra i primi a commentare ci fu proprio Trump: «Spero che il certificato sia autentico, voglio vederlo di persona. Detto questo mi chiedo, perché non l'ha mostrato prima? Comunque sono contento perché ora possiamo parlare di tanti problemi seri che affliggono il paese».

Nel frattempo, mentre la campagna elettorale sta entrando nel vivo con l'inizio, lunedì, della kermesse democratica (seppur azzoppata dal coronavirus), Trump ha confermato che intende tenere il suo discorso di accettazione della nomination di fronte al South Lawn della Casa Bianca.

Una scelta su cui i suoi avversari hanno già sollevato questioni etiche e legali, ma che lui preferisce rispetto all'ipotesi dello storico campo di battaglia della guerra civile a Gettysburg, in Pennsylvania. La Casa Bianca «è un grande posto», ha spiegato, e inoltre è più economico e più conveniente dal punto di vista organizzativo.

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