Politica

Da Karoshi a Irusu La lingua perfetta per ogni ossessione

Sono sempre più diffusi i termini nipponici per le sindromi moderne

Anna Muzio

Avete una pila di libri sul comodino, mai letti, ma questo non vi impedisce di andare in libreria e comprarvene un altro, tanto prima o poi vi ci metterete? Forse non lo sapete ma siete affetti da Tsundoku, l'acquisto compulsivo, quanto superfluo, di carta stampata. Che in giapponese ha una parola ben precisa, tsundoku appunto. Se è vero che una lingua riflette una società e gli usi e costumi di un popolo, il giapponese ha molto da dire sui suoi abitanti. Ma è insuperabile anche nel catalogare le ossessioni moderne. Perché riesce in una parola a sintetizzare modi e mode della nostra epoca, ben più dell'italiano ad esempio, che trova spesso difficoltà a tradurre la modernità in parole, e infatti spesso ricorre ad altre lingue, e in particolare all'inglese, per esprimere le novità. In particolare esistono certe parole giapponesi che dicono molto di alcune manie e storture della nostra epoca, magari ingigantite ed estremizzate, ma nelle quali non stentiamo a riconoscerci.

Gli Hikikomori, i giovani che hanno abbandonato gli studi e non cercano nemmeno più lavoro, ma restano chiusi in casa tutto il giorno a giocare al computer, potrebbero benissimo abitare nel nostro palazzo, solo che, ovviamente, non li vediamo mai. Più difficile per noi sarà invece identificarsi con le vittime di Karoshi, che arrivano a morire per il troppo lavoro. E alla maggior parte di noi italiani sarebbe inutile suggerire che lo stress del lavoro e la suocera invadente sono Shoganai: talmente inevitabili da non potere che essere accettati e superati, mentre è inutile lamentarsi. Un po' il contrario del nazionale «piove governo ladro», in fondo. Alcuni termini invece sono deliziosamente specifici, e raccontano della nostra strampalata vita quotidiana. In particolare la sfera della socialità, tema sensibile quanto attuale: nell'epoca dei social la solitudine cresce e i rapporti «in carne ed ossa» diventano sempre più difficoltosi. Spesso si preferisce starsene chiusi in casa piuttosto che uscire e farsi quattro chiacchiere tra amici. Ma appare al limite del patologico chi fa Irusu, ovvero fa finta che non ci sia nessuno in casa anche se le luci sono accese e non risponde al campanello, pur di non doversi rapportare a un altro essere umano, o a uno scocciatore giunto fino alla porta. Non vi è mai capitato? Stentiamo a crederlo. Ma sappiamo che vi sarà capitato di andare dal parrucchiere o dal barbiere, chiedere «una spuntatina» e uscire con una pettinatura a metà tra Lady Gaga in pompa magna e il mostro di Frankenstein. E realizzare che si sta molto peggio di prima. Anche la disperazione derivante da questa cruda consapevolezza ha un termine giapponese, Age-otori. Se a quel punto pensate di consolarvi spendendo tutti i vostri soldi in cibo stravagante e ipercostoso, arrivando sull'orlo della rovina, state facendo Kuidaore.

Ora devo proprio concludere, e vi saluto. Ma se mi vedete in giro con un maglioncino un po' vissuto, potreste giustamente sospettare sia una Nito-onna, una donna che lavora talmente tanto da non avere tempo di stirare camicette o bluse, e dunque si veste solo con maglie e maglioni. E pazienza se a uno sguardo più attento mi darete della Bakkushan: una donna che sembra bellissima vista da dietro ma si rivela decisamente deludente dopo essersi girata di faccia. Evidentemente non apprezzate a sufficienza la Shibumi, la bellezza poco appariscente che si nasconde dietro un aspetto ordinario e comune.

Segno, peraltro, di un gusto estremamente raffinato.

Commenti