Al sesto giorno di guerra a est, anche il Parlamento europeo tende la mano a Kiev. Un segnale politico forte. Certo, con qualche distinguo. Ma i 637 voti a favore, i 13 contrari e le 26 astensioni danno plasticamente conto di un'unità di fondo. Le delegazioni italiane votano Sì alla concessione all'Ucraina dello status di Paese candidato all'adesione. La risoluzione dell'Eurocamera non è vincolante, ma è anzitutto un messaggio a Mosca. Un altro, mentre 30 Paesi annunciano altre sanzioni contro la Russia.
L'immagine più forte della giornata di Strasburgo è la comparsa del presidente ucraino Volodymir Zelensky. Parla a braccio. In collegamento dal suo ufficio-bunker. Manfred Weber, a nome del più grande gruppo all'Europarlamento, quello dei Popolari, esprime «ammirazione» per il coraggio e l'amore per la libertà degli ucraini, «eroi del nostro modus operandi e vivendi». L'iconografia è potente: l'Eurocamera in piedi. Applausi per il presidente-resistente. E mentre la standing ovation è ancora in corso, Zelensky alza il pugno e se ne va. Soddisfatto: «Vogliamo essere membri a pari diritti dell'Europa», dice. «Senza l'Ue, l'Ucraina sarebbe sola, mostrateci che siete davvero europei e che non ci abbandonerete». Ma le regole valgono per tutti nonostante il momento tragico. E le bandiere gialloblù a Bruxelles.
La presidente dell'Europarlamento Roberta Metsola ringrazia Zelensky; per aver mostrato al mondo cosa significa «reagire». Evoca un «whatever it takes» per Kiev e promette sostegno alla Corte penale internazionale per le indagini sui crimini di guerra in Ucraina: «Riterremo responsabile Putin proprio come Lukashenko». Il procuratore della Cpi, Karim Khan, ha già annunciato che aprirà un'inchiesta.
«Per l'Europa è il momento della verità», dice la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, certa che sia in corso uno scontro tra stato di diritto e stato delle armi, democrazie e autocrazie, «tra un ordine basato su regole e un mondo di nuda aggressione». Il suo discorso alla plenaria speciale serve anche a certificare l'accoglienza degli ucraini «che devono fuggire dalle bombe di Putin», per questo «proponiamo di attivare il meccanismo di protezione temporanea per fornire status sicuro e accesso a scuole, cure mediche e lavoro». Uomini, donne e bambini stanno morendo ancora una volta perché un leader straniero ha deciso che un Paese non ha diritto di esistere, sottolinea. «Non lo possiamo accettare. Né ora né mai».
Le fa eco Boris Johnson dall'Estonia. Il premier britannico evoca i «disgustosi» raid russi su Kharkiv che gli ricordano gli attacchi a Sarajevo nella guerra in Bosnia: «Atrocità commesse deliberatamente contro un centro civile», tuona BoJo con dietro i carri armati inglesi del contingente Nato a difesa del confine Ue. Di «bagno di sangue» parla il cancelliere tedesco Olaf Scholz. E mentre da Kiev arrivano immagini di nuove esplosioni, la presidente kosovara Vjosa Osmani, ad Ankara con l'omologo turco Recep Tayyip Erdogan (che non sanzionerà Mosca), sostiene che «alla luce della situazione è giunta l'ora che il Kosovo entri nella Nato».
Da Mosca piovono intanto altre minacce: «Le azioni Ue non resteranno senza risposta, la Russia continuerà a perseguire interessi nazionali a prescindere dalle sanzioni, l'Occidente capisca che il dominio dell'economia non è più suo». Il ministro degli esteri Sergei Lavrov si scaglia contro i funzionari di Bruxelles che vogliono infliggere «il massimo danno» alla Federazione, «distruggere la sua economia, impedirne la crescita».
E arriva pure l'avvertimento del vice capo del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev via Twitter: «Nella storia umana le guerre economiche molto spesso si sono trasformate in guerre reali...». In serata l'accordo Ue per escludere 7 banche russe da Swift. Non Gazprombank. Il gas è salvo. La faccia un po' meno.
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