Il ministro Dario Franceschini è stato precipitoso nel mostrarsi tutore di un principio che non esiste - l'inalienabilità dei Beni culturali - mentre intorno a lui le città come Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei e i loro insigni monumenti e grandi musei sprofondano nel degrado. I musei e le biblioteche sono senza tutela, i direttori e i funzionari umiliati. Lo Stato vende isole, palazzi, conventi con assoluta indifferenza, smobilita collezioni e musei, cancella istituzioni di straordinario interesse storico e anche attuale come l'Isiao, già Ismeo, l'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente, fondato da Giovanni Gentile e Giuseppe Tucci, e fondamentale per la situazione geopolitica del nostro tempo.
Ho visto qualche giorno fa smantellare le librerie e vendere i mobili dell'Isiao al miglior offerente, nel silenzio del ministro. Il quale però oggi risponde subito con un secco diniego alla provocazione del sindaco di Venezia che ha proposto di mettere all'asta due quadri dei musei civici - un Klimt e uno Chagall - per far quadrare i bilanci del Comune, insomma facendo il gioco della torre, contrapponendo migliori servizi per la sua città a un'opera d'arte certamente notevolissima.
Cerchiamo di mettere ordine in questa situazione, dominata dall'ipocrisia e dalla retorica, consolandoci perché almeno ci saremo risparmiati il solito appello al ministro, promosso da professori più ignoranti che indignati, come Francesco Caglioti e Andrea de Marchi e firmato dai soliti ignoti, docenti indecenti.
Temo che non riusciremo a evitare, oggi stesso, su un altro giornale, lo sdegno del professor Tomaso Montanarini. Come negarlo a un sindaco «rozzo» come Luigi Brugnaro?
Sono necessarie due premesse. La prima è che soltanto cattive amministrazioni e uno Stato ignaro o criminale possono aver ridotto una città ricca come Venezia alla condizione di deficit di bilancio; la seconda è che l'insistente luogo comune degli insipienti di vendere le opere conservate negli «scantinati» (come sono intesi, e sono invece depositi attrezzati e ordinatissimi) è una insensatezza, perché quelle opere, nonché minori, sono in relazione con l'ambito culturale di cui il museo è il riferimento, e lì hanno senso, mentre sarebbero non capolavori assoluti ma corpi nel vuoto in musei stranieri e lontani.
E, d'altra parte, gli acquirenti stranieri non vorrebbero opere di artisti minori, ma di Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Caravaggio. Ridicolo vendere molti pezzi a poco prezzo. Ed ecco allora la geniale proposta di Brugnaro: vendere un solo dipinto a una grande cifra, salvaguardando l'identità e i valori del contesto. Vero è che Venezia è città internazionale, e che ospita il Museo Guggenheim, pieno di capolavori dei più grandi artisti del Novecento, ma è anche vero che nessuno viene a Venezia per il Klimt e lo Chagall di Ca' Pesaro, artisti che si possono vedere in tutti i musei del mondo.
E, proprio per la dimensione cosmopolita di Venezia, se la Giuditta di Klimt fosse a New York non cambierebbe molto nella nostra conoscenza del pittore (che leghiamo non alla città di Venezia ma semmai a Vienna) e che fu acquistato dal Comune alla Biennale del 1910. È evidente che, come lo stesso sindaco ha osservato, rispetto a Bellini o a Canaletto, la vendita di Klimt sarebbe un danno non mortale. Già sento i toni della protesta, anticipata dal ministro che, vietando la vendita, dovrebbe garantire i finanziamenti essenziali alla città. Ecco la consueta litania: un danno mortale al patrimonio... si vendono i capolavori per fare cassa... come Hitler con l'arte degenerata, Brugnaro se la prende con gli ebrei...
Ora, traiamo le conclusioni.
Se il mondo, davanti alla proposta del sindaco, si muoverà a pietà per Venezia, un comitato internazionale, come quelli che agivano sotto il coordinamento dell'Unesco, potrà raccogliere una somma pari al valore presumibile che la Giuditta di Klimt raggiungerebbe in un'asta. Venezia potrebbe così conservare il dipinto e disporre del necessario per ripianare il deficit, perché - e qui è il punto, e qui la proposta di Brugnaro è seducente - la «migliore offerta» appare difficilmente rinunciabile.
La Giuditta di Klimt a valori comparati potrebbe raggiungere i 250 milioni di dollari, quanto è stato pagato i Giocatori di carte di Paul Cézanne e, forse,
superare quel record. Prendere o lasciare; e, in un colpo solo, limitare il danno. Franceschini ha una proposta migliore? Qual era il deficit? 250 milioni di euro bastano? E poi dite che la proposta di Brugnaro è sbagliata.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.