Qatargate

L'"italian job" non era un caso isolato. Ma il pugno di ferro si vede solo col Qatar

Dopo lo scandalo Panzeri-Kaili in molti attendevano nuove rivelazioni

L'"italian job" non era un caso isolato. Ma il pugno di ferro si vede solo col Qatar

La domanda vera alla fine: si salverà qualcuno? Ci sarà qualcuno, tra gli Stati che in questi anni hanno foraggiato i parlamentari europei perché aggiustassero risoluzioni e delibere in loro favore, che riuscirà a stare defilato dall'ondata di rivelazioni che sta scoperchiando il malaffare di Strasburgo? Corollario della prima domanda: quanti dei parlamentari a libro paga delle lobby riusciranno a farla franca?

Le rivelazioni di ieri del premier polacco sulla rete che operava in favore della Russia nei corridoi di Bruxelles e di Strasburgo non hanno lasciato incredulo praticamente nessuno. Fin dal 9 dicembre, quando l'arresto dell'italiano Antonio Panzeri e dei suoi complici aveva scoperchiato il sistema, chiunque avesse bazzicato in quegli anni l'ambiente del Parlamento e della Commissione raccontava che il vero problema non erano solo le manovre del Qatar o del Marocco: i soldi, quelli veri, erano i milioni messi in moto da Mosca per condizionare la Ostpolitik dell'Unione europea. Al punto di creare una sorta di «partito russo» trasversale ai gruppi parlamentari: si va dai comunisti greci ai neonazi tedeschi di AfD: ma con significative astensioni, specie sui voti alle sanzioni contro Mosca nell'ultima legislatura, anche nel gruppo di cui fa parte il Pd. Non si tratta più solo dell'Italian job, come è stata ribattezzata dai media belgi la rete che aveva al suo centro Panzeri. Ai due paesi che finanziavano, sotto la copertura dell'ong Fight Impunity, la lobby di Panzeri, ovvero Qatar e Marocco, se n'è aggiunto un terzo, la Mauritania. Poi, grazie alla rivelazioni del Financial Times, si è scoperto che anche la Turchia utilizzava i servigi dell'ex sindacalista italiano per oliare le decisioni dell'europarlamento. Nel frattempo salta fuori che un'altra ong, EuroMedA, fondata dal socialista francese Gilles Pargneaux, è sospettata da tempo di agire come lobby occulta del governo marocchino a Bruxelles.

Se i vertici dell'Europarlamento puntavano a liquidare il bubbone Panzeri come un caso isolato, il compito comincia a farsi arduo. La vera incertezza riguarda la linea che la Procura federale belga intende seguire di fronte alla espansione delle rivelazioni. Nei confronti degli imputati del primo troncone la strategia è chiara: ponti d'oro al pentimento di Panzeri, mano pesante con chi continua a proclamarsi innocente come Eva Kaili, la socialista greca in cella ormai da tre mesi cui i pm hanno prorogato l'altro giorno la carcerazione preventiva.

Di questa severità di intenti però non si vede per ora traccia nei confronti degli altri possibili versanti investigativi: come se per gli inquirenti belgi l'unica traccia da sviluppare sia rimasta l'informativa dei loro servizi segreti sull'Italian job.

E allo stesso modo non c'è traccia di attività su altri versanti da parte dei servizi ispettivi interni dell'Europarlamento, nonostante le promesse di trasparenza e tolleranza zero del suo presidente Roberta Metsola.

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