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L'affondo sul salario minimo divide sindacati e imprese

La Cgil esulta per le parole di Visco, la Cisl lo contesta. "Non serve una riforma, più salari grazie ai contratti"

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Il salario minimo è la risposta sbagliata a un problema vero, il precariato. In un Paese che ha una contrattazione collettiva al 97% e dove il salario minimo del Ccnl è già superiore a quello individuato da sindacati, Pd e M5s (tra i 9 e i 10 euro) il dibattito sul mondo del lavoro diventa lunare.

Qual è il vero tema lanciato dal governatore uscente di Bankitalia, Ignazio Visco, quando invoca «l'introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, per rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale»? Che servono più soldi in tasca ai 4,5 milioni di italiani con contratti inferiori ai mille euro, sotto il 60% del reddito mediano, persone non solo giovani che «non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate», in un mondo del lavoro già distorto dal Reddito di cittadinanza, in graduale e lenta sparizione.

L'auspicio di Visco raccoglie pareri discordanti. Il leader M5s Giuseppe Conte ne approfitta per rilanciare la sua proposta in arrivo alla Camera il 23 giugno mentre «Giorgia Meloni fa orecchie da mercante», il segretario della Cgil Maurizio Landini prende le distanze dai grillini e pretende «una legge sulla rappresentanza che cancelli i contratti pirata dia diritti come maternità, ferie, malattia anche agli autonomi». Diversa l'opinione della Lega, che con il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio ricorda che «si crea occupazione di qualità e ben retribuita, con contratti equi e le giuste garanzie, solo liberando le imprese dalla burocrazia e potenziando gli interventi sul fisco». Stesso auspicio dell'ad di Intesa San Paolo Carlo Messina: «L'aumento dei salari deve essere accompagnato da una crescita dell'occupazione». È il leader Cisl Luigi Sbarra a marcare le distanze da Cgil e opposizione: «Solo estendendo i contenuti dei Ccnl possiamo assicurare il giusto dinamismo alle dinamiche salariali». Come ricorda Emma Marcegaglia, presidente dell'omonimo gruppo, «in Confindustria tutti i contratti sono nettamente superiori al salario minimo», la cui riforma per Maurizio Lupi «non risolverebbe alcun problema».

Se si vogliono mettere in tasca ai lavoratori precari più soldi bisogna lavorare sul cuneo fiscale - come sta già facendo l'esecutivo («Infatti vogliamo stabilizzarlo da gennaio», sottolinea il ministro degli Esteri Antonio Tajani) - e, al tempo stesso, lavorare su due strade di cui non parla (quasi) mai nessuno: la formazione continua e la capacità di cambiare lavoro intesa come un'opportunità. Come ricorda sempre l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi «la precarietà non può essere abolita per legge. Le tutele dei lavoratori devono accompagnare la possibilità di transitare da un mestiere a un altro». È questo il messaggio che aveva ispirato la riforma firmata da Marco Biagi, travisato da un'economia figlia della globalizzazione selvaggia e incontrollata.

Secondo gli studi pubblicati dalla Commissione europea sulle migliori esperienze internazionali, il salario minimo dove applicato (senza contrattazione collettiva) non solo non ha ridotto il rischio di povertà ma ha fatto guadagnare lo Stato sotto forma di tasse e contributi in più, spesa sociale e sconti fiscali in meno. «In alcuni casi - come ricorda il paper del Centro studi Fiscal Focus diretto da Antonio Gigliotti, di cui ha già scritto il Giornale - il numero delle ore settimanali e mensili per i lavoratori a basso reddito» (e ad alto rischio automazione, vedi casse dei supermarket o benzinai) «è stato decurtato», generando uno svantaggio economico per il lavoratore.

In altri casi, invece, l'impatto di un aumento del salario difficilmente riassorbibile è stato interamente trasferito sul prodotto, a svantaggio della competitività e del cliente finale, senza contare che le imprese del Sud potrebbero preferire una maggiore propensione al lavoro nero. È davvero questa la risposta alla precarietà che ha in mente Visco?

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